lunes, 1 de julio de 2013

Tupiza, 1/07/2013

Un giorno bloccato nella cittadina di Tupiza, quasi al confine con l'Argentina, può essere una buona occasione per riprendere un po' il filo del discorso, e dei pensieri...
Tupiza viene descritta un po' come il "far west boliviano" (cito dalla Lonely), vuoi per la storia di Butch Cassidy e Sundance Kid, che qui furono uccisi in una sparatoria con le forze dell'ordine, vuoi per i paesaggi fatti di canyons, quebradas, rocce rosse e cactus, che davvero fanno pensare di essere scesi alla stazione sbagliata, di avere casualmente passato il confine con un mondo immaginario uscito da una pellicola.
E poi qui ci si arriva col treno, quel treno che ho preso a Oruro, per fermarmi prima a Uyuni, per fare il giro del Salar, e che ho ripreso nella notte di venerdì per arrivare qui intorno alle tre del mattino...
È stata un'emozione partire dalla stazione sulle note di "Serà porque te amo", cantata in spagnolo dai Ricchi e Poveri in un video d'antan trasmesso nel vagone. Perchè i treni boliviani non sono mica male, c'è il vagone ristorante, un addetto che passa in continuazione con pollo fritto, birre e bibite, c'è il riscaldamento (anche se dai finestrini entra un'aria gelida anche quando sono chiusi), e le stazioni sono pulite e silenziose a differenza dei terminal degli autobus. E poi a me è sempre piaciuto viaggiare in treno, più che qualsiasi altro mezzo.
Peccato che in tutto il paese esistano solo due linee ferroviarie: una è questa che da Oruro va a Villazon e al confine con l'Argentina, e l'altra che da Santa Cruz si dirige verso il Brasile.

Ovviamente, trattandosi del far west, non ho potuto esimermi dal tour a cavallo che propongono tutte le agenzie del posto. Sette ore su una bestia il cui unico interesse era fermarsi a mangiare per poi ripartire al trotto e raggiungere il resto del gruppo per litigare con gli altri cavalli, in particolare con uno montato da una ragazza francese (che a un certo punto mi ha anche detto che il mio cavallo le faceva paura, povera...), mostrandosi del tutto indifferente ai miei ordini.
In realtà la bestia, un maschio di nome Troia (con mio grande divertimento), tutto era fuorchè un focoso purosangue: ovviamente non avendo io nessuna esperienza di equitazione (la mia unica volta a cavallo risale a una quindicina di anni fa...) mi hanno dato il ronzino più fiacco e lento di tutto il maneggio, con l'unica particolarità  di essere particolarmente rissoso, come mi ha spiegato (poi, non prima, ovviamente...) la guida. In più di un'occasione ha cercato di mordere (non pensavo che i cavalli mordessero, però a me è parso proprio così) l'altro incolpevole cavallo, oppure di mandarlo fuori strada a spintoni, in particolare quando questi cercava di superarlo.
Solo in un punto si è messo a galoppare, ovviamente senza che io lo volessi: però devo dire che è stato il momento più bello di tutta la giornata. Per il resto un gran dolore di culo e di schiena, che persiste tutt'ora, però paesaggi incantevoli.

Insomma, come vi dicevo, bloccato qui perchè ieri tutti i bus per Tarija, la prossima destinazione, erano pieni, e io, pensando di aver capito tutto del sistema di trasporti boliviano, volevo prendere il biglietto all'ultimo momento per risparmiare qualche peso, non considerando il fatto che qui sono iniziate le vacanze, e tutti sono in viaggio.
In realtà l'albergo dove sono non è niente male; anzi è di gran lunga il migliore che abbia incontrato fino ad ora. Non è troppo freddo, è pulito, ha la piscina e la prima colazione, il tutto per 10 boliviani (1 euro circa) più della media (della mia media, che è piuttosto bassa). Insomma, non mi dispiace fermarmi qui, a parte il fatto che dopo aver camminato il primo giorno, essere andato a cavallo il secondo, non c'è più niente da fare.

P.s. certo poi alcuni inconvenienti capitano anche in questo albergo: mi hanno appena riconsegnato i vestiti che avevo lasciato da lavare. Perfettamente piegati. Però sporchi come prima.

viernes, 28 de junio de 2013

Uyuni, 28/06/2013

Pare che gli unici momenti in cui riesco a scrivere siano quando aspetto un treno... questo mi porterá a Tupiza, sud della Bolivia, quasi al confine con l'Argentina.
Sono reduce dal tour del Salar de Uyuni, la distesa di sale piú grande del mondo. Bello. Tre giorni persi per paesaggi irreali, in un bianco accecante, tra rocce dalle forme fantastiche e lagune colorate piene di fenicotteri rosa, alloggiando in alberghi che definire spartani sarebbe davvero eufemistico, e fortunatemente con un bel gruppo di compagni di viaggio.
Un tour estremamente turistico, eppure estremamente selvaggio e "avventuroso", grazie anche alla perenne disorganizzazione dei boliviani, che in realtá inizio a credere sia una scelta di vita consapevole, o comunque consapevolmente accettata.

Qualcuno, non ricordo chi, ha descritto la Bolivia come il paese dove tutto é possibile, ma niente é probabile.

Intanto è successo che, mentre aspettavo il mio turno per fare la doccia (pare che per i miei compagni fosse la priorità appena tornati a Uyuni, per cui anche io mi sono adattato...) è saltata la corrente elettrica nel quartiere (sucede quasi tutti i giorni, a Uyuni): niente acqua calda e niente doccia. Sentra troppo rammarico ho rimandato l'incombenza a domani.
E ora vado a prendere il treno, vediamo cosa potrá succedere questa notte...

martes, 25 de junio de 2013

Non è facile riprendere il filo, così come non è facile lasciare La Paz dove in questo tempo ho finito col sentirmi quasi "a casa"...
Quanto è passato dall'ultimo post? un mese? Sì, più o meno.
E in un mese di cose ne possono succedere davvero tante.
Spero di riuscire a ricordarle e raccontarle tutte, o almeno le più interessanti.
Ho deciso di farlo un poco per volta, raccogliendo le idee e riordinandole un po', perchè adesso, in questo momento, mi sembra di dover raccontare una vita intera. Ma forse è solo la mia pigrizia, e il fatto che mi sono disabituato a scrivere (è strano come, in poco tempo, quella di scrivere fosse diventata un'abitudine quasi quotidiana,  e come, in altrettanto poco tempo, questa abitudine l'abbia persa di nuovo).
Mi sono convinto che questo sia dovuto al fatto che, in un certo senso, a La Paz avevo ricostruito un piccolo mondo per certi versi simile a quello in cui vivo, fatto di amicizie, serate, lavoro, impegni che in qualche modo ti riempiono la vita, ma ti tolgono anche il tempo di pensare, di riflettere, nel bene e nel male, di prenderti quello spazio totalmente intimo e personale che ti dà la solitudine.
Farò una sorta di riassunto a puntate degli episodi che mi sono perso per strada, però non ora, che devo prendere un treno per Uyuni, da cui inizierò il tour del famoso Salar, una delle esperienze più classiche e turistiche della Bolivia, però ugualmente imperdibile.
In questo momento sono a Oruro: Oruro possiede una delle poche stazioni ferroviarie di tutta la nazione.
Dalla stazione di Oruro partono 5 treni passeggeri.
5 treni alla settimana.
Il mio parte tra mezz'ora, non è il caso di perderlo...

jueves, 23 de mayo de 2013



La Paz, 22/05

Ho deciso di fermarmi un mese a La Paz perchè, come già ho scritto all’inizio di questo blog, il mio vuole essere anche un viaggio di conoscenza, di scoperta di esperienze che in qualche modo abbiano a che fare con il mondo dell’agricoltura biologica e del sociale, e qui ho trovato alcune esperienze che mi interessano e che voglio approfondire.
Una di queste è AOPEB, che conoscevo già da tempo a con cui ci sono dei contatti istituzionali attraverso di AIAB, l’altra, che invece ho scoperto qui, è Qalauma.
Sono tornato a Qalauma altre due volte, dopo la prima, ed ogni volta è stata un’esperienza importante.
La seconda volta (con Roberto, responsabile del Mlal, e Eleonora, volontaria) siamo capitati in occasione di un taller, un laboratorio, di arteterapia sul tema dell’intelligenza emozionale. In pratica sul conoscere ed esprimere le proprie emozioni. Al taller partecipavano gli educatori del centro, una decina, e una quindicina di ragazzi, scelti, credo tra quelli che maggiormente stanno seguendo un percorso positivo.
La mattina stessa c’erano stati alcuni problemi tra i ragazzi e le guardie, con qualche contatto fisico di troppo, per cui i ragazzi dell’ala prncipale erano chiusi nella loro sezione, e il clima era piuttosto teso. Per questo motivo al taller hanno potuto partecipare solo ragazzi della acogida, l’accoglienza, l’ala in cui i nuovi arrivati passano tre mesi per iniziare a integrarsi e per essere valutati dagli educatori.
Il taller era gestito da tre ragazzi spagnoli (una di origine boliviana) che stanno portando la loro esperienza in giro per il paese presso scuole, comunità, con ragazzi e adulti. Premetto che io mi sento sempre piuttosto in difficoltà quando si tratta di esprimere emozioni, mostrare il proprio lato creativo, empatizzare con le persone. Ma ne è valsa la pena di fare lo sforzo, per vedere questi ragazzi, che per convinzione o per necessità si presentano come dei teppisti, dei duri, mostrare i propri sentimeni, raccontare i propri sogni, le proprie storie (sempre segnate da abbandono, violenza, marginalità), ridere e piangere, e alla fine salutarsi con un po’ di magone, pensando che in fondo, dopo una giornata così, per loro ricomincia la solita routine del carcere, e chissà se rimarrà qualcosa delle emozioni provate oggi, o se la maschera tornerà a stamparsi sulla faccia, unica difesa nella lotta quotidiana contro il mondo.
(E in realtà, sebbene in modo diverso, credo che in fondo, questi momenti facciano bene un po’ anche a me.)
Alla fine, prima di tornare alla sezione, i ragazzi si affollano intorno a Gloria, una delle educatrici spagnole, decisamente carina, reclamando baci e abbracci. Anche quando ce ne andiamo, i saluti dalle finestre sono tutti per lei.
Sono tornato nuovamente a Qalauma per parlare con gli educatori e i responsabili, in merito alla possibilità di ampliare le possibilità commerciali di ciò che viene prodotto all’interno del centro; sarebbe una boccata d’ossigeno per la sopravvivenza dei laboratori e del centro stesso.
Abbiamo nuovamente visitato tutti i laboratori, con più calma stavolta, parlando un po’ con i ragazzi e con gli educatori. Una delle prime idee è di partecipare a qualche fiera, tra cui la Biobolivia, per iniziare a fare conoscere un po’ il centro e i suoi progetti.
La mia giacca quecha riscuote molti apprezzamenti tra i ragazzi di Qalauma, tutti cercano di barattarla con qualsiasi cosa, ma non sono molto dell’idea di cederla... alla fine la lascio per tutta la mattina al laboratorio di cucito, dove prenderanno le misure per replicarla autonomamente. Fa niente patire un po’ di freddo, la lascio volentieri. Ma sono anche felice di rimettermela addosso dopo pranzo: qui sull’altpiano il freddo si sente, più che in città.
Mi colpisce particolarmente un ragazzo, abbigliamento punk, orecchino al naso, sguardo franco, intelligente, e buono. Si chiama Krudo, in rete si trovano un video e un blog che chiedono la sua liberazione (http://krudoalakalle.noblogs.org/ ; http://www.youtube.com/watch?v=cToddtPacCY ): è un attivista anarchico, accusato di terrorismo, rischia fino a 20 anni di carcere per avere, forse, incendiato qualche bancomat... Prima di salutarci mi ragala una toppa dei Discharge, fatta da lui, nel laboratorio di serigrafia.
Que te vaya bien, Krudo...


La Paz, 18/05

Tutto questo succedeva una decina di giorni fa, da allora sono successe parecchie cose: altre visite a Qalauma, viaggi sul campo con Aopeb, weekend e serate con i nuovi amici italiani, spagnoli, francesi, tedeschi... mi dispiace solo, fino ad ora, di non aver stretto rapporti anche con un po’ di paceñi, che sembrano un po’ meno espansivi degli abitanti dell’est, proprio come mi avevano detto.
Sono un po’ combattuto in questi giorni , lo ammetto, tra il desiderio di fare il viaggiatore, e la volontá  di lavorare e conoscere un po’ più da vicino il mondo boliviano, soprattutto quello produttivo, e l’esperienza di Qalauma; vittima delle mia perenne indecisione, sto cercando al momento mi pare con un discreto successo, di mantenere un equilibrio tra le due cose.
Il giorno successivo alla visita a Qalauma, ho incontrato Aurelio, altro operatore storico del Mlal (Movimento laici per l’America Latina) come Riccardo, e con lui abbiamo parlatodegli altri progetti del Movimento, come quello per il miglioramento della Vigogna, che vive in stato di liertà sull’altipiano di Apolobamba dove, periodicamente, tutti gli abitanti partecipano alla cattura e tosatura degli animali (per permettere al pelo di ricrescere sufficientemente, un esemplare può essere tosato solo ogni due anni). Aurelio, sua moglie Anna, così come Riccardo, dimostrano una conoscenza e una comprensione della complessa e per me ancora sconosciuta realtà boliviana; verrebbe voglia di ascoltarli parlare all’infinito.
Nell’ufficio del Mlal ho conosciuto anche Damiano e Andrè, due volontari italiani, e attraverso loro, Marianna, Alice, Laura, Dani, Gori, e poi Stefano, Michele, Javi, Klara; ma ci sono anche Maya, Verena, Anja e altri ancora. Il mondo dei volontari e cooperanti italiani ed europei è un microcosmo in perenne fermento (pare che negli anni passati fosse anche più grande), una volta trovato l’ingresso, ed è bello orbitavi attorno. (Ammetto che a volte ho l’impressione di trovarmi in un Erasmus fuori tempo massimo... ma va bene così).
È con loro che lo scorso weekend siamo stati sul Lago Titicaca, alla Isla del Sol, due giorni di riposo totale (e di grandi bevute di birra) lontano dal caos di La Paz, circondati da una distesa d’acqua che a volte sembra un mare, se non fosse per la presenza delle vette imbiancate della Cordillera Real, che ci ricordano di essere a quasi 4000 metri. Confesso di non avere percepito molto la magia delle civiltà preincaiche con i loro misteri, ma l’atmosfera dell’isola, l’assenza di automobili e di qualsiasi mezzo a motore, il tramonto ammirato dalle antiche rovine, la via lattea così luminosa, così viva, tutto contribuisce a farti sentire in un posto unico e speciale.

jueves, 16 de mayo de 2013



La Paz 13/05

Scusate, sono rimasto un po’ indietro con gli aggiornamenti, è già una settimana che non scrivo, e devo un po’ riprendere il filo.
È stata una settimana strana, questa vissuta a La Paz. Calma e intensa contemporaneamente.
Prima di tutto però vi descrivo un po’ come è la città, anche se ancora non posso dire di averla girata per bene, anche perchè girare a piedi per La Paz, è molto più impegnativo che girare per qualsiasi altra città che abbia mai visto. I continui saliscendi, le strade sconnesse (almeno quella che da casa mia va verso il centro), e l’aria che manca per l’altitudine complicano un po’ l’esplorazione. C’è anche lil fatto che qui sto lavorando in una oficina, un ufficio vero, per cui il tempo libero è limitato rispetto a quello che avevo nelle scorse settimane.
Ad ogni modo, questa città mi sta affascinando giorno per giorno, riserva una sorpresa ad ogni angolo. Non mi ricordo dove ho letto che La Paz è una città senza orizzonte, così chiusa, quasi precipitata in una valle, ma che in compenso agli abitanti si presenta uno scenario nuovo ad ogni incrocio; ed è vero, il paesaggio qui cambia continuamente, perchè le vie strette cinte da case non permettono di vedere che una piccola parte della città, ogni volta differente. E quando tra le facciate dei palazzi appare imporvvisamente uno scorcio dell’Illimani o di qualche altra vetta della Cordillera Real, si rimane senza fiato, non solo per l’altitudine.
La Paz, come mi dicevano alcuni ragazzi in un ristorante vegetariano dal sapore molto hippy, è piena di tesori nascosti. Subito dopo mi hanno invitato a una serata dal titolo  ¨carnivori anonimi¨ in cui la gente racconta come ha smesso di mangiare carne... non ci sono andato perchè avevo già un’altra cena, magari settimana prossima.
Proprio oggi, dopo essere stato all’ufficio della migracion (un agente non ha ritenuto valida la mia fotocopia del passaporto...) approfittando del fatto di essere fuori ufficio ho girato per quello che è il centro storico di La Paz. Un’oasi di tranquilità isolata dal caos delle strade circostanti dove le auto e gli autobus appestano l’aria con scarichi da ciminiere, con stradine strette, acciottolate, case colorate, vecchietti seduti sulle panchine (e negozietti di artigianato, ovviamente), che si articola attorno a Plaza Murillio.
La pace era probabilmente in parte dovuta anche al fatto che il centro fosse completamente recintato dalla polizia, dato che era in corso una maniestazione di insegnanti; noi ovviamente, in quanto turisti, siamo potuti passare attraverso lo sbarramento. In realtà qui in Bolivia, ma in particolare a La Paz, le manifestazioni sono all’ordine del giorno; penso che da quando sono qui non ci sia ancora stato un giorno senza un corteo. Anzi, poco dopo, tornando verso il mio quartiere, mi sono imbattuto in un altro corteo, pieno di cholitas (le donne in abiti tradizionali, con gonne, lunghe trecce nere e bomboetta in testa). Non so per cosa manifestassero, ma era una bella immagine.


La Paz, 14/05

Come vi scrivevo, la mi a vita a La Paz, in questa prima settimana, è stata calma  ma piena allo stesso tempo.  
Sono arrivato lunedì mattina, verso le sette, accolto dal freddo pungente della città che si stava risvegliando, e nella stazione semideserta c’eravamo quasi solo noi, i viaggiatori con lo zaino in spalla; tutti i boliviani scesi dalle decine di flotas appena arrivate si erano già dispersi per le vie tortuose del quartiere di San Pedro.
Il tempo di bere un mate de coca, per iniziare ad adeguarmi alle usanze loali, e anche per evitare di patire subito l’altitudine, che giunge tempestiva la telefonata di Giovanni, uno dei membri di AOPEB, l’associazione con la quale collaborerò nei prossimi giorni. Si offre di venirmi a prendere e portarmi direttamente alla sede dell’associazione, ed io accetto più che volentieri. In realtà nel tempo passato prima del suo arrivo avrei potuto prendere una decina di taxi, ma fa piacere appena arrivato fare due chiacchiere con qualcuno, e fa anche piacere il giro di presentazioni di tutto il personale di AOPEB, che Giovanni mi fa fare appena scaricato lo zaino: non riuscirò a ricordare nessun nome, come al solito,  sebbene mentalmente cerchi di memorizzarli uno a uno, ma avrò tempo di impararli nei giorni a venire.
Scopro che Anja, la ragazza tedesca che mi ospiterà in questi prini giorni, lavora fino alle sei, sicchè non mi resta che prendere posto alla (micro)scrivania che mi hanno dato e iniziare a leggere un po’ di materiale sui progetti dell’associazione. Qui sono tutti impegnatissimi per l’organizzazione della fiera Biobolivia (eh sì, ammetto di avere copiato...) che si terrà il 17, 18, 19 di maggio, e nessuno ha molto tempo da dedicarmi.
Sarà un lunedì molto lungo, tra l’attesa di poter scaricare le mie cose nella nuova stanza, e il sonno accumulato nel viaggio.
In compenso Anja è una padrona di casa stupenda (dato che la casa è grande ospita persone, couchsurfers e pseudovolontari disgraziati come me, senza chiedere niente in cambio)  la stanza è bellissima, come tutta la casa, e quando mi sistemo, ormai è il tramonto, dalla finestra si vede l’Illimani tinto di rosa che domina tutta la città. Sufficiente per farmi innamorare di La Paz.

La Paz, 15/05

I giorni seguenti sono stati segnati da due eventi in partcolare: il primo è stato l’incontro con Riccardo Giavarini, cooperante in Bolivia da ormai 37 anni, il secondo con un gruppo di italiani (tra volontari, cooperanti, viaggiatori) che mi ha fatto apprezzare anche il lato più festaiolo di La Paz.
Con Riccardo ci eravamo sentiti, casualmente, il giorno prima della mia partenza: aveva chiamato in cooperativa (quando scrivo cooperativa intendo in Aretè, dove lavoro) per conoscere la nostra realtà, dicendo che stava facendo un lavoro di riabilitazione con un carcere minorile, casualmente a La Paz. Casualmente, il giorno in cui ha chiamato, ero passato in cooperativa per salutare i colleghi prima della partenza, e appena saputo di questa chiamata mi sono fatto dare il suo numero: Riccardo non è poi riuscito a passare in Aretè, ma abbiamo fissato un appuntamento qui in Bolivia.
Non mi ricordo il giorno che ci siamo visti, mi sembra mercoledì, ma siamo andati quel giorno stesso a Qualauma, e questo non posso dimenticarlo.
Qalauma è un centro di riabilitazione e reinserimento di giovani detenuti (tra i 16 e i 21 anni), il primo, e attualmente l’unico in Bolivia; un progetto assolutamente nuovo e sperimentale, in un paese dove in minorenni, anche in attesa di giudizio, vengono trattati alla stregua degli adulti, e rinchiusi assieme a loro. In questo posto, che rimane comunque un carcere , purtroppo, i ragazzi possono lavorare in diversi talleres (laboratori): falegnameria, panetteria, serigrafia, sartoria, ceramica, un piccolo orto e un allevamento di animali da corte (galline, conigli, porcellinid’india). Inoltre sono seguiti da un gruppo di psicologi ed educatori. Le difficoltà per mantenere in vita Qalauma sono innumerevoli, prima fra tutte la costante mancanza di fondi, dato anche la rtrosia da parte del governo a finanziare il progetto.
Il viaggio stesso verso il centro ha il sapore di un’odissea, tra la strada dissestada, i cani (innumerevoli, irrimediabilmente randagi) che pare non aspettino altro che di buttarsi in mezzo alla strada, i bloqueos (blocchi stradali fatti da manifestanti) praticamente quotidiani che creano immensi ingorghi e costringono alla tragicomica ricerca di una via alternativa per passare, il paesaggio sempre più precario da El Alto (una volta periferia di La Paz, ora città autonoma), a Viacha, alla pampa in mezzo a cui si trova il centro; una distesa di case sempre più incompiute man mano che si procede, puntellate dalle mille chiese bianche costruite dal leggendario padre Hobermeyer , e perennemente vuote, a quanto dicono.
Forse potrei dare una mano a trovare soluzioni per commercializzare i prodotti realizzati dai ragazzi di Qualauma, dice Riccardo. Forse. Di sicuro ci tornerò, qui, almeno per provarci.

martes, 7 de mayo de 2013

La Paz 7/05

A La Paz, finalmente!
Sono arrivato ieri  mattina, intorno alle 7, dopo un viaggio su un pullman che definire freddo credo non sia sufficiente... al mattino ho sentito l'autista che mormorava quacosa in proposito a un finestrino aperto durante la notte, spero sinceramente che il motivo non fosse quello. Ho capito però perchè tutti eramo muniti di coperta, prima di salire sul mezzo. Io ovviamente avevo lasciato il sacco a pelo nello zaino, nel bagagliaio. Mi sono messo addosso tutto quello che avevo a disposizione, compresa una salvietta a mo' di coperta... alla fine sono anche riuscito adormire un poco.

Non vi ho ancora parlato dell'esperienza dei viaggi in autobus, le flotas, che qui sono i mezzi di trasporto principali, e che generalmente viaggiano di notte. In realtà il viaggio in sè, a parte il freddo, non è così male: ci sono a disposizione posti normali, camas (con sedile reclinabile e poggiapiedi a mo' di dentista), e cuccette (un lusso che non mi sono ancora permesso). Certo, non è come in Turchia che ti portano la merendina e il profumo al limone per le mani, ma sono silenziosi, comodi, e addirittura con il bagno più o meno funzionante.
La cosa divertente è arrivarci a prenderlo, il pullman.
La prima volta che sono stato in un terminal, è stato a Santa Cruz, accompagnato da Maribel (a Santa Cruz c'è sempre qualcuno che ti accompagna...), il pomeriggio prima di partire per Cochabamba. La stazione mi sembrava un posto molto tranquillo, poca gente in giro, ogni compagnia con il proprio stand, terminali in cui ti indicavano i posti liberi. Secondo il parere di Maribel però, i prezzi erano troppo alti, si sarebbero abbassati in serata. Per cui non abbiamo acquistato il biglietto e siamo tornati in ufficio.

In serata, dopo una semplice despedida a base di caffè e sonzo (sempre buono, il sonzo), sono tornato al terminal dei bus, stavolta accompagnato addirittura da una delegazione, composta da Maribel, Gina, Georjina e sua figlia di pochi mesi.
Il luogo tutto sommato semplice e tranquillo di qualche ora prima si era nel frattempo trasformato in una specie di caotico mercato in cui i dipendenti delle diverse compagnie, aumentati esponenzialmente, urlavano a gran voce le destinazioni e prezzi dei biglietti, cercando ti attirarci verso il proprio stand, mentre dovevamo farci largo tra una folla di persone, anche loro in cerca di un biglietto, montagne di bagagli, orde di venditori di cibo, bevande, generi di conforto. Alla fine il prezzo del biglietto era identico a quello del pomeriggio...
Confesso che quando il mio comitato di addio se n'è andato, mi sono sentito un po' perso.
Alla fne, come dicevo, il viaggio in sè non è  stato male, circondato da cholitas che ridevano di gusto per ogni schianto frontale evitato (a un  certo punto abbiano anche speronato un altro autobus reo di non aver ceduto il passo con prontezza), nel buio assoluto della carretera, illuminato solo dai fari e da qualche sparuto villaggio.
Al mattino, il terminal di Cochabamba, si presentava silenzioso e ordinato, ma sapevo ormai che, qualche giorno dopo, al momento di prendere la mia flota per La Paz, non sarebbe stato così.

Ad ogni modo, è bello vedere come in questo caos tutto alla fine funziona, le persone (e i bagagli), arrivano a destinazione: solo, l'impressione è che tutto si potrebbe fare molto più ordinatamente, e silenziosamente. Ma questa è la mia deformazione da europeo un po' troppo ben abituato...

L'immagine più bella del viaggio verso La Paz, è la carovana di fari che nella notte si inerpicava verso l'altopiano, lentamente, per raggiungere i 3600 metri di una delle metropoli più alte del mondo...

sábado, 4 de mayo de 2013

Cochabamba 4/05

Visitare i mercati é per me sempre un'esperienza interessante, per vedere un po' piú da vicino una cittá, le sue persone, la vita che si muove, i rapporti umani nella loro quotidianitá immediata.
La fida Lonely dice che il mercato di Cochabamba é il piú grande della Bolivia; se anche non lo fosse, poco importa, é decisamente qualcosa di difficile da definire, nel senso che é letteralmente difficile stabilirne i confini. Non ha propriamente dei limiti, diciamo che si diluisce lentamente nelle vie della cittá, andando a intersecarsi con quelle che sono le normali attivitá commerciali (ma molto spesso la differenza é labile).
Non avevo niente in particolare da comprare, solo avevo deciso di dedicare qualche ora a gironzolare per questo enorme agglomerato di oggetti e persone. L'impatto iniziale é stato piuttosto brusco: il caos, il rumore, le persone ti avvolgono e ti circondano, cosí come circondano i micros (gli autobus) che cercano di attraversarlo e che in piú occasioni ho visto fermi, impossibilitati a fendere la folla. Mi chiedo per quale ragione le persone a bordo non scendessero continuando a piedi...
Il mercato é diviso per zone: scarpe, articoli sportivi, cd e dvd pirata, frutta, sartoria, e cosí via.
Passando per la zona dei cellulari rimango colpito dai prezzi bassissimi di alcuni modelli.
- Quanto costa questo?
- 300 boliviani (meno di 40 euro, da noi costerebbe almeno 400 euro)
- Come, cosí poco?
- Sí, ma non é originale, é una copia cinese (con tanto di marchio)
- Ma... funziona?
- No, se ne vuoi uno che funzioni ho un i-phone4, costa 600 dollari.
Ringrazio, apprezzando l'onestá del venditore.
Prima di uscire passo per il settore delle torte (qui in Bolivia le torte hanno un che di scenografico, di spettacolare) e non resisto a prenderne una fetta: cerco il banco apparentemente piú pulito, ha anche una sorta di vetrina frigorifera anche se non credo sia mai stata accesa... La torta é buonissima, ora incrociamo le dita.
Non volendo girare per il mercato con la cartina alla mano (ero giá abbastanza appariscente anche senza) sono stato attentissimo a ricordarmi ogni svolta, sicché sono sicuro di dove sto andando.
Inutile dire che quando finalmente esco dal dedalo di bancarelle, non mi trovo dove avrei dovuto...



Le piazze, qua, hanno qualcosa di speciale.
Grossomodo si assomigliano tutte, come conformazione, almeno quelle che ho visto fino ad ora.
Di pianta quadrata, tagliate diagonalmente da passaggi pedonali, costellate di panchine e rigogliose di vegetazione: palme, alberi da frutto, cespugli, fiori. Le piazze sono l'occasione per le persone di rilassarsi,  leggere, bere o mangiare qualcosa, riposarsi all'ombra quando il caldo si fa insopportabile.
La piazza di Cochabamba, un po' piú piccola di quella di Santa Cruz, si chiama 14 Septiembre, e pare richiamare a tutte le ore del giorno e della notte assembramenti di persone vogliose di parlare, soprattutto di politica.
Ho scoperto che nel 2000 Cochabamba é stata il fulcro di una vittoriosa rivolta contro la privartizzazione dell'acqua, e da allora nella piazza c'é un presidio permanente di persone che si ritrovano per commentare i giornali e di tanto in tanto organizzano una "charla", un dibattito pubblico, discutendo di temi di attualitá oppure su argomenti piú generali.
Quella a cui ho assistito io ieri, prendendo spunto dall'espulsione dell'agenzia di aiuti americana USAID dalla Bolivia (non conosco molto i fatti), parlava di colonizzazione e decolonizzzione, ed era animata da un ragazzo che con una certa dose di ironia, se la prendeva con i gringos (io ero l'unico presente...) e devo dire che su molte cose era difficile dargli torto.
Ripassando per la piazza la notte stessa, all'angolo opposto mi sono imbattuto in un comico di strada, che con battute basate principalmente su rapporti sessuali, masturbazione e insulti ai presenti mi ha fatto scompisciare dalle risate. Ovviamente anche io, in quanto gringo, ho ricevuto la mia dose di sfottó (in realtá abbastanza leggera rispetto a quella riservata ai locali), ma era parte del gioco, e alla fine ho contribuito con piacere alla colletta.
Nel frattempo, poco piú in lá un altro oratore continuava la sua charla...

viernes, 3 de mayo de 2013

Cochabamba, 3/05

È incredibile il modo che hanno qui di essere ospitali, l'attenzione, la disponibilità e il tempo che ti dedicano, senza neanche quasi conoscerti. Almeno, così è stato fino a ora.
Mercoledì, 1 maggio, volevo visitare Samaipata, un piccolo paese a circa 2 ore e mezzo da Santa Cruz. Ruth si era offerta, come sempre, di accompagnarmi, ma alcui impegni familiari le impedivano di esserci, quel giorno. Ovviamente io sarei andato anche da solo, ma dal suo punto di vista questo non era assolutamente concepibile. È stata coinvolta nel caso Gina, altra collaboratrice di Fides, che si è offerta di buon grado di farmi da guida, nonostante fosse stata a Samaipata di recente.
In realtà anche Gina aveva degli impegni con l'università, una consegna da fare tassativamente entro giovedì, per cui la sera prima, dispiaciuta, mi ha confessato che non sarebbe potuta venire. Ma proprio in quel momento, un ufficio, era presente Jessica, sorella di Georjina (altra collaboratrice di Fides) che, non ho ben capito in che modo (tutto si è svolto molto velocamente), è diventata la mia guida e accompagnatrice per il giorno seguente.
In realtà, il mercoledì, sarebbero state in due, lei e Erika, altra sorella, a condividere la bella gita a Samaipata. Insomma, la famosa ospitalità cruzeña non si è smentita nemmeno in questo caso.

Tralascio i dettagli del viaggio, vi dico solo che farsi tre ore seduti su un cuscino tra i due sedili anteriori, proprio lì dove c'è il cambio, non è esattamente fare un viaggio comodo.
In macchina con noi c'è anche una coppia di brasiliani (non trovo il bigliettino con i loro nomi, al momento) con cui abbiamo chiacchierato tutto il viaggio, e anche pranzato insieme, arrivati a Samaipata. Loro vivono lì da alcuni mesi, e paiono molto felici di quasta condizione. Mi parlano anche di una fattoria, gestita da una coppia di tedeschi, che oltre a coltivare, produce anche birra biologica: è possibile lavorare da loro in cambio di ospitalità e vitto (il numero è sempre sul bigliettino che devo assolutamente ritrovare...).
Di per sè Samaipata non è altro che un pueblito di poche case e poche strade, ma la presenza di tanti stranieri, i negozietti di artigianato, il movimento di turisti (tutti zaino-in-spalla), la rende un piccolo angolo di quiete e di movimento insieme.
Continuo a chiedere a tutti (alle mie giude, agli autisti, a tutti) come mai a Samaipata ci siano così tanti turisti, e solo turisti un po', diciamo, hippy... Ok il Fuerte (il sito precolombiano), ok il parco nazionale Amborò, però deve esserci qualcosa d'alto. I miei dubbi resteranno senza risposta.
Sulla via del ritorno ci fermiamo a Las Cuevas, un bel fiumiciattolo con alcune cascate. Non fosse che è quasi buio, e che l'acqua in questa stagione è un poco bassa, sarebbe bello fare un bagno.

Comunque parto da Samaipata con la ferma intenzione di ritornarci... Dovrò pianificare l'itinerario, per ora ancora sono piuttosto confuso.

Ora sono a Cochabamba, domani vi parlerò un po' di questa bella cittadina.

martes, 30 de abril de 2013


Santa Cruz, 30/04

Inizio ad amare l’aria che si respira in questa cittá, soprattutto il clima di rilassatezza della piazza centrale, Plaza 24 de septiembre, dove piú di una volta in questi giorni mi sono ritrovato a passeggiare, leggere, o semplicemente sedermi all’ombra degli alberi tropicali che la adornano,  e guardare le persone che passano, pensando che probabilmente nel clima freddo di La Paz, rimpiangeró questi momenti.

Domenica, dopo un tour cultural-gastronomico, ma soprattutto gastronomico, con Ruth e famiglia al completo (marito, tre figli e un cane) con soste ogni ora circa per assaggiare qualche prelibatezza locale,nel mio girovagare solitario del tardo pomeriggio sono perfino andato a teatro (!) a vedere lo spettacolo di una compagnia cilena che parlava della morte di 81 detenuti in seguito a un incendio dovuto alla negligenza delle autoritá penitenziarie. Non ho capito se la compagnia stessa era composta in parte da ex detenuti, o famigliari. Lo spettacolo é stato emozionante, e credo che la mia comprensione dello spagnolo migliori di giorno in giorno.

La mattina di sabato, verso le 7, prendo un taxi verso il puente Urubó, dove ho appuntamento con Daniel, il proprietario della fattoria dove si terrá il corso. Il luogo dell’appuntamento é un viavai di taxi e furgoni, che arrivano e caricano quante piú persone possibili, coordinati da una donna che con fare deciso smista le decine di persone in attesa. Mi chiedo come faró a riconoscere Daniel, quando incrocio una ragazza che si distingue decisamente per l’aspetto: dread, vestitino a fiori, sacco a pelo e melodica (una specie di tastiera con un tubicino per soffiarvi dentro). Incrociamo lo sguardo e subito mi chiede se sono lí anche io per il corso di permacultura: evidentemente non sembro proprio un boliviano... Immediatamente dopo arriva anche Daniel (che ci identifica al volo in mezzo alla ressa) e ci dirigiamo verso il suo furgone. La ragazza é argentina, sono un paio di anni che sta girando per il sud America, ma ora sta pensando di tornare verso casa. Mi faccio ripetere varie volte il suo nome, ma proprio non riesco a capire come si chiami: qualcosa che suona come Ashe...

La proprietá é un poccolo angolo di foresta appena fuori della cittá, Daniel mi spiega che sta facendo dei lavori con l’idea di andarci a vivere stabilmente, non appena sará pronta.

In tutto siamo una dozzina si persone a partecipare al corso: ci sono alcuni membri di un’associazione di volontariato che offre percorsi terapeutici gratutiti e che vuole aprire un centro di aiuto in cui fare agricoltura, alcuni studenti di agraria, un paio di pensionati (un architetto ed un agronomo) che non si sono ancora stancati di imparare, piú altre varie persone piú o meno strane, arrivate da varie parti del mondo. Piú tardi ci raggiungerá anche Marcelo, che é stato il primo ad accennarmi di questo corso e che non potró mai ringraziare abbastanza.

Il nostro maestro, nonché “capitano della nave”, si chiama Tierra, ed é un argentino con una folta barba e una famiglia nomade, composta dalla sua compagna, le figlie, e Giuseppe, una sorta di folletto sempre sorridente che si aggira suonando e dispensando allegria. Il corso durerebbe una decina di giorni, ma io purtroppo parteciperó solo oggi, ma sará sufficiente a farmi un’idea, per lo meno della filisofia che sta alla base della permacultura.

In tutto il giorno, di agricoltura si parlerá ben poco: solo a fine giornata vedremo alcuni progetti realizzati da Tierra e dal suo gruppo di agricoltori viaggianti. Invece tutta la mattina sará dedicata a conoscerci, affiatarci, diventare un gruppo, creare un legame tra le persone: abbracci, risa, sguardi, contatto fisico. Tutto con un sapore tanto hippy, ma, grazie anche alla simpatia di Tierra, cosí vero e coinvolgente da farmi sentire quasi parte di una famiglia. Non so come dire, ma é stata quell’iniezione di fiducia per le persone di cui avevo davvero bisogno in questo momento.

La giornata é intensa, il corso continuerá fino alle 9 di sera, e cosí sará per i giorni a venire, e mi dispiace davvero lasciare gli altri quando me ne vado, abbraccio tutti, con la promessa di restare in contatto... chissá.

Ad ogni modo, i principi della permacultura (sperando di non aver equivocato qualcosa con la mia comprensione ancora limitata dello spagnolo) sono:

  • Cuidado con la tierra
  • Cuidado de la gente
  • Distribucion equitativa de los excedentes
  • Establecer limites al consumo y a la poblacion

E i principi di attitudine:

  • El problema es la solucion
  • Cooperacion, no competencia
  • Trabaje con la neturaleza, no contra de ella
  • Minimize el mantenimiento
  • Trabaje donde cuenta
  • Enseñale a quien quiere saber
  • Utilise toto a su maxima capacitad
  • Maximise las cosechas

 




Santa Cruz, 30/04

Giovedí e venerdí scorsi sono stati giorni abbastanza sedentari: giovedí mattina abbiamo partecipato ad un taller, un seminario, sull’espansione della frontiera agricola in questa regione,  potendo vedere i dati di quello che giá il giorno prima avevamo osservato dal vivo lungo la strada per San Julian: e cioé che la foresta viene costantemente erosa per fare posto alle coltivazioni estensive, soprattutto di soia, mais e girasole.

Ovviamente questo porta anche grossi vantaggi economici, e risponde ad una richiesta sempre maggiore (soprattutto per l’esportazione), ma non é facile nascondere lo sgomento vedendo di quanto continui a ridursi la foresta ogni anno, a favore della produzione agricola.

Conosciamo alcuni professori universitari, e uno di loro ci parla nuovamente di questo corso di permacultura (ce ne aveva giá accennato Marcelo) che si terrá da sabato appena fuori dalla cittá. La cosa comincia a incuriosirmi, anche se non so se potró prendervi parte...

Venerdí abbiamo accompagnato Giorgia in aeroporto, la sua pasantia é finita, e riparte per l’Italia. Il suo bagaglio é lievitato in questi mesi, ed ora é ampiamente al di fuori dei limiti accettati, ma con una lunga contrattazione e diversi occultamenti si riesce a imbarcare tutto ugualmente. Confesso che mi mancherá la mia coinquilina nei giorni a venire.

Di ritorno dall’aeroporto vado con Maribel a una riunione per organizzare una “Bicidomingo”, domenica 12 maggio. L’idea di girare in bici per questa cittá continua a sembrarmi una sfida all’istinto di autoconservazione, eppure a quanto pare ci sono diverse persone (tra cui l’immancabile Marcelo) che credono che un modo diverso di muoversi sia possibile anche qui. Apprezzo la loro fiducia e la loro temerarietá.

All’ingresso degli uffici comunali c’é un piccolo assembramento di persone che protestano (non so per quale motivo); Maribel mi dice che é cosí praticamente ogni giorno.

La riunione é interessante, ma l’impressione é che, a due settimane dall’iniziativa, le cose da fare siano ancora innumerevoli, e le persone un po’ poche; come dice Marcelo, l’importante é che qualcosa si faccia. Se non sará 100, ma solo 50, é comunque meglio di zero.

Quando usciamo dal palazzo, i manifestanti hanno appena ottenuto ció che chiedevano: se ne vanno trionfanti, e noi con loro.

Torno a “casa”, nella stanza che ora non é piú una doppia ma una singola, e decido: domani andró a scoprire cosa é questa famosa permacultura.

lunes, 29 de abril de 2013


Santa Cruz, 29/04
 
Mercoledí finalmente ci siamo avventurati fino al Municipio di San Julian, sede del progetto CEPRODE (Centro de Producion Ecológico), circa tre ore vi viaggio su un trufi scassato, piú un’altra mezzora su uno ancora piú scassato per raggiungere il Nucleo 23, l’abitato (non si sa bene quanta gente ci viva, mi han detto cifre variabili tra le 300 e le 1000 persone) dove si trova fisicamente il centro di produzione biointensiva.

Prima peró ci siamo fermati alla sede dell’alcaldia per parlare con l’assessore allo sviluppo, intervistato da Giorgia, che con una accondiscendenza tutta politichese ci ha spiegato che la produzione di soya si sta espandendo enormemente in questi anni (viaggiando da Santa Cruz a San Julian fa davvero impressione l’estenzione dei campi di soia a perdita d’occhio) e che tutti ne stanno beneficiando; certo sarebbe bello se non fosse transgenica, ma quella convenzionale costa troppo, e certo c’é qualche problema di deforestazione, ma l’amministrazione si sta adoperando per contenerli.

Rinfrancati dalle parole dell’amministratore, siamo andati appunto a visitare l’unico appezzamento di terra in tutto il municipio non coltivato estensivamente, bensí con un progetto di “agricoltura biointensiva”, che prevede piccoli appezzamenti (2000 mq) coltivati in modo tale da bastare al sostentamento di una famiglia, in modo del tutto biologico.

A dire il vero attualmente il terreno é coltivato per lo piú a mais, ma il progetto é appena partito e adesso dovrebbero cominciare le semine di ortaggi.

L’idea di Javier, il responsabile della produzione, é di vendere l’eccedende al mercato di Santa Cruz, ma io provo a comunicargli la mia opinione, che sarebbe molto meno dispendioso e piú redditizio provare a vendere direttamente i prodotti al dettaglio, magari a San Julian. Discutiamo un po’, alla fine non mi pare molto convinto delle mie argomentazioni.

Quello che mi appare piuttosto evidente é che il lavoro da fare sarebbe tantissimo, e mi dispiace di fermarmi qui a Santa Cruz solo qualche giorno...

 
Torniamo verso San Julian con un trufi che é ancora piú malridotto dei precedenti, e completamente ricoperto di polvere, dentro e fuori, come noi del resto; ormai é buio (qui fa buio verso le 18.30), ed é quasi un miracolo trovare una vettura vuota, comoda e con i finestrini che si chiudono, che ci trasporterá per le prossime tre ore fino a casa. Preferisco dormire per non fare caso alle innumerevoli volte che rischieremo, come all’andata, di schiantarci frontalmente con un camión, nel corso degli infiniti sorpassi che il guidatore pare non stancarsi mai di fare.

Santa Cruz, 29/04

Martedí mattina mi sono recato con Demetrio, un collaboratore di Fides che segue il progetto dell’orto biointensivo, al mercato Abasto, il mercato ortofrutticolo piú grande di Santa Cruz. Ci siamo incontrati verso le 8 di mattina, per cui, il grosso del lavoro era giá stato fatto (come tutti i mercati si lavora tra la mezzanotte e le prime ore del mattino), ma é stata in ogni caso un’esperienza molto interessante. Il mercato é diviso per zone, in base alla provenienza dei prodotti, in parte al coperto, in parte all’aria aperta. Camion stracarichi di merce (a volte incassettata, a volte in sacchi, piú spesso sfusa), vengono caricati e scaricati completamente a mano, e la merce viene trasportata a spalla o con l’ausilio di carriole. Ai margini dell’ingrosso si trovano i venditori al dettaglio, quelli piú organizzati dispongono di un tavolo, la maggior parte utilizza un telo di plastica posato per terra.

I prodotti non sono conservati in celle frigorifere, quando va bene sono disponibili dei magazzini, dove al massimo si conservano due o tre giorni, e tutte le contrattazioni avvengono direttamente sul posto, piú raramente per telefono.

Giriamo per il mercato per un’ora circa, masticando canna za zucchero e altri dolci di cui non ricordo il nome, e ci salutiamo con l’idea di ritrovarci la settimana seguente, per visitare il mercato di notte, nel pieno dei lavori... chissá se sará possibile.



Santa Cruz, 29/04

La prima attivitá vera e propria che abbiamo svolto qui in Fides é stata una riunione di coordinamento delle attivitá, venerdí pomeriggio. La riunione é stata accompagnata da due buonissime torte preparate da Maribel (e che saranno la nostra colazione per i prossimi giorni), e preceduta da un giro di saluti e presentazioni in cui tutti hanno espresso la loro felicitá per la notra presenza, e la disponibilitá ad aiutarci per qualsiasi necessitá.

Mi piace questo modo di fare, non credo siano solo formalitá, mi pare che qui la ospitalitá sia davvero una cosa importante, d’altra parte “Es ley del Cruzeño la hospidalidad”.

Dopo aver brevemente organizzato le attivitá per la prossima settimana (ma mi pare di capire che qui non é facile fare programmi, e quello che si é deciso il giorno prima, probabilmente il giorno dopo sará giá cambiato), passiamo a organizzare le attivitá per il fine settimana, dato che Ruth si é offerta da farci da guida nei prossimi giorni.

Decidiamo di andare al Parco Ecologico Yvaga Guazu sabato mattina (dato che il piú rinomato parco Guembe é eccessivamente costoso), e al rio Piray nel pomeriggio. Domenica si vedrá.

Il parco, anche se piccolo, é molto ben curato, un’oasi nel mezzo della cittá, e la nostra guida, Marcelo, si rivela un grande intrattenitore, oltre che un buon amico per i giorni a venire.

Nel pomeriggio, con Ruth e suo marito Fran, ci dirigiamo alle cabañas lungo il rio Piray, il fiume che costeggia la cittá, dove frotte di cruzeñi si riversano nel fine settimana per mangiare, ballare, bere, non certo per fare il bagno, almeno non in questa stagione. Il rio Piray infatti si presenta come un fiumiciattolo di acqua marrone che arriva a malapena alle ginocchia (ma nella stagione delle pioggie arriva a inondare tutta la zona adiacente).

Viste le condizioni, spronato da Ruth, mi animo ad attraversarlo, impresa che fará di me un vero Cruzeño. Dopo l’epica traversata, non ci resta che rinfrancarci con il sonzo (una specie di puré di yucca e formaggio) e un bicchiere di chicha fresca (ma questa non é quella alcolica), che é un po’ come bere la polenta...

Nel frattempo abbiamo deciso cosa fare per l’indomani: andiamo a visitare il parco naturale delle Lomas de Arena, dune sabbiose nel mezzo della foresta, la cui origine non é ancora stata spiegata, paradiso per gli uccelli migratori.

Ci accompagna MiguelAngel, giovane guida locale che sta cercando di creare un’agenzia di turismo avventura. Non brilla certo per organizzazione, ma in compenso é molto disponibilie, gentile e simpatico.

Il paesaggio delle Lomas é davvero straniante, un pezzo di deserto in mezzo al verde della foresta tropicale con alcune piccole lagune disseminate qua e lá. E poi queste dune offrono la possibilitá di praticare il sandboard, variante dello snowboard, ma su sabbia. Le discese, anche se piuttosto brevi, sono molto divertenti, ma la risalita ti fa rimpiangere di non essere rimasto a casa con l’aria condizionata accesa.

Torniamo a casa completamente cotti dal sole, parzialmente ustionati, ma felici per un’esperienza sicuramente singolare.




24/04

Bene, dopo avervi raccontato i motivi che mi hanno spinto fino a qui (almeno una parte), passiamo ai fatti.

Sono partito, come vi dicevo, il pomeriggio di Martedí 16 aprile, con l’unica certezza che, a S. Cruz, ci sarebbe stato qualcuno a ricevermi, cosa che giá mi era di grande conforto.

Ed é stato un piacere, dopo piú di 24 ore di viaggio, trovare all’uscita dell’aereoporto Giorgia e Javire con un cartello “Bruno” scritto in colore verde.

Giorgia é una stutendessa italiana di cooperazione per lo sviluppo, a S. Cruz per un tirocinio e per raccogliere dati sulle monoculture per la tesi che sta scrivendo, Javier é un membro della Fondazione Fides, ONG che ci ospiterá in questi giorni di permanenza in cittá.

La prima belle notizia é che abbiamo a disposizione addirittura una stanza presso la sede della fondazione, con bagno, aria condizionata, due letti, insomma tutto il necessario e anche di piú.

Il fatto poi che si trovi proprio sopra gli uffici di Fides ci permetterá di essere sempre in contatto con i collaboratori della fondazione.

28/04

Riprendo il filo del discorso prima che la memoria cominci a perdere pezzi...

Come vi dicevo, all’arrivo siamo stati accolti con tutti gli onori, e giá il primo giorno abbiamo fatto una breve riunione con Ruth, che é la direttrice della fondazione e che ci ha spiegato un po’ del loro lavoro, i diversi progetti in cui sono impegnati, e le idee e aspettatibve che hanno sulla collaborazione con noi.

Giorgia porterá avanti il suo lavoro di ricerca sulle monoculture, in particolare quella della soia che qui si coltiva su estenzioni impressionanti, mentre a me viene chiesto di collaborare su un progetto di produzione agricola biointensiva in un piccolo abitato a un centinaio di km da qui, dove é necessario sviluppare l’aspetto della commercializzazione di ció che viene prodotto.

L’impressione iniziale é quella di un’organizzazione piccola ma piena di passione e di persone con una gran voglia di fare, ci piace. E poi Ruth é una vera forza della natura... sempre sorridente con una parlantina infinita, trascinante.

I primi giorni sono trascorsi tranquilli, senza troppo da fare, girando per Santa Cruz che appare come una grossa cittadina di provincia (in realtá é la cittá piú popolata della Bolivia), forse per le case basse, forse per l’aria rilassata che si respira nella piazza centrale, forse per il caldo ed il cielo senza una nuvola che a me che vengo da un lungo inverno italiano fa tanto pensare al mare. Nel frattempo ho modo di leggere un po’ di materiale sul progetto, conoscere il presidente della fondazione, l’ingegner Molina, e gli altri collaboratori di Fides: Maribel, Georjina, Gina (sono quasi tutte donne, Fides lavora molto anche sulle discriminazioni di genere).

Presentazione


Santa Cruz, 23/04/13

Oggi è una settimana de quando sono partito, per cui effettivamente non è nemmeno una settimana che sono qui in Bolivia, ma sono sei giorni.

Mi stupisce sempre come bastino pochi giorni di viaggio per entrare in una dimensione temporale e mentale (oltre che ovviamente spaziale), totalmente separata da quella che siamo abituati a vivere normalmente.

Questo per dire che, sebbene si tratti di una settimana solamente che sono qui, una finta settimana come abbiamo detto, già mi sento totalmente, o quasi, dentro a questa esperienza, questa esperienza nuova che sto facendo.

Ma prima di tutto vi spiego qual è l’idea che anima questo viaggio. Perchè ogni viaggio deve avere una sua anima, no?

La mia, di anima, mi ha suggerito, sempre più intensamente da diversi mesi a questa parte, di cercare risposte un po’ più in là di dove mi muovo solitamente, ad alcune domande che da tempo mi ponevo sull’importanza e la necessità del lavoro che svolgiamo, come produttori biologici, come agricoltori sociali, come persone che hanno scelto, per vocazione e non per opportunità, di cercare nuove forme di vita sostenibili per l’uomo e per il pianeta.

(Poi certo, ci sono tutte le questioni esistenziali, ma quelle me le tengo per me, e per pochi intimi...)

E un insieme di fattori, coincidenze, casualità, indizi, mi hanno spinto da queste parti del globo, in Bolivia, tanto per cominciare, e poi si vedrà.

Giusto per presentarmi, mi chiamo Bruno, ho 34 anni, vivo a Bergamo, e lavoro, sempre nei paraggi di Bergamo, in una cooperativa sociale che produce e vende, all’ingrosso e al dettaglio, ortaggi biologici, e che attraverso questa attività, cerca da ormai 25 anni, di attuare progetti di inserimento lavorativo e sociale di persone “svantaggiate”. Quello dell’agricoltura biologica è un mondo che mi affascina e mi coinvolge, più o meno direttamente, da diversi anni, da quando ero all’univeristà, e in qualche modo ho cercato di farlo diventare elemento importante della mia vita.

Però, e qui sta il punto, però mi sembra che negli ultimi tempi il discorso sul biologico, almeno in Europa, si sia un po’ arenato, avvitato su sè stesso, sui temi del benessere, della salute, dei prezzi, delle truffe... mi chiedo che fine abbia fatto il senso politico del coltivare biologico, come forma di riacquisizione de parte dei produttori, e di conseguenza, dei cittadini, del possesso della terra e dei suoi frutti, nei confronti di un’agroindustria sempre più onnipotente ed onnipresente.

Ad ogni modo, ho pensato che forse, da questa parte del mondo, dove ancora c’é chi fa offerte alla Pachamama, la madre terra, forse c’é qualche speranza di ritrovare il senso di quello che stiamo facendo.