Un giorno bloccato nella cittadina di Tupiza, quasi al confine con l'Argentina, può essere una buona occasione per riprendere un po' il filo del discorso, e dei pensieri...
Tupiza viene descritta un po' come il "far west boliviano" (cito dalla Lonely), vuoi per la storia di Butch Cassidy e Sundance Kid, che qui furono uccisi in una sparatoria con le forze dell'ordine, vuoi per i paesaggi fatti di canyons, quebradas, rocce rosse e cactus, che davvero fanno pensare di essere scesi alla stazione sbagliata, di avere casualmente passato il confine con un mondo immaginario uscito da una pellicola.
E poi qui ci si arriva col treno, quel treno che ho preso a Oruro, per fermarmi prima a Uyuni, per fare il giro del Salar, e che ho ripreso nella notte di venerdì per arrivare qui intorno alle tre del mattino...
È stata un'emozione partire dalla stazione sulle note di "Serà porque te amo", cantata in spagnolo dai Ricchi e Poveri in un video d'antan trasmesso nel vagone. Perchè i treni boliviani non sono mica male, c'è il vagone ristorante, un addetto che passa in continuazione con pollo fritto, birre e bibite, c'è il riscaldamento (anche se dai finestrini entra un'aria gelida anche quando sono chiusi), e le stazioni sono pulite e silenziose a differenza dei terminal degli autobus. E poi a me è sempre piaciuto viaggiare in treno, più che qualsiasi altro mezzo.
Peccato che in tutto il paese esistano solo due linee ferroviarie: una è questa che da Oruro va a Villazon e al confine con l'Argentina, e l'altra che da Santa Cruz si dirige verso il Brasile.
Ovviamente, trattandosi del far west, non ho potuto esimermi dal tour a cavallo che propongono tutte le agenzie del posto. Sette ore su una bestia il cui unico interesse era fermarsi a mangiare per poi ripartire al trotto e raggiungere il resto del gruppo per litigare con gli altri cavalli, in particolare con uno montato da una ragazza francese (che a un certo punto mi ha anche detto che il mio cavallo le faceva paura, povera...), mostrandosi del tutto indifferente ai miei ordini.
In realtà la bestia, un maschio di nome Troia (con mio grande divertimento), tutto era fuorchè un focoso purosangue: ovviamente non avendo io nessuna esperienza di equitazione (la mia unica volta a cavallo risale a una quindicina di anni fa...) mi hanno dato il ronzino più fiacco e lento di tutto il maneggio, con l'unica particolarità di essere particolarmente rissoso, come mi ha spiegato (poi, non prima, ovviamente...) la guida. In più di un'occasione ha cercato di mordere (non pensavo che i cavalli mordessero, però a me è parso proprio così) l'altro incolpevole cavallo, oppure di mandarlo fuori strada a spintoni, in particolare quando questi cercava di superarlo.
Solo in un punto si è messo a galoppare, ovviamente senza che io lo volessi: però devo dire che è stato il momento più bello di tutta la giornata. Per il resto un gran dolore di culo e di schiena, che persiste tutt'ora, però paesaggi incantevoli.
Insomma, come vi dicevo, bloccato qui perchè ieri tutti i bus per Tarija, la prossima destinazione, erano pieni, e io, pensando di aver capito tutto del sistema di trasporti boliviano, volevo prendere il biglietto all'ultimo momento per risparmiare qualche peso, non considerando il fatto che qui sono iniziate le vacanze, e tutti sono in viaggio.
In realtà l'albergo dove sono non è niente male; anzi è di gran lunga il migliore che abbia incontrato fino ad ora. Non è troppo freddo, è pulito, ha la piscina e la prima colazione, il tutto per 10 boliviani (1 euro circa) più della media (della mia media, che è piuttosto bassa). Insomma, non mi dispiace fermarmi qui, a parte il fatto che dopo aver camminato il primo giorno, essere andato a cavallo il secondo, non c'è più niente da fare.
P.s. certo poi alcuni inconvenienti capitano anche in questo albergo: mi hanno appena riconsegnato i vestiti che avevo lasciato da lavare. Perfettamente piegati. Però sporchi come prima.
lunes, 1 de julio de 2013
viernes, 28 de junio de 2013
Uyuni, 28/06/2013
Pare che gli unici momenti in cui riesco a scrivere siano quando aspetto un treno... questo mi porterá a Tupiza, sud della Bolivia, quasi al confine con l'Argentina.
Sono reduce dal tour del Salar de Uyuni, la distesa di sale piú grande del mondo. Bello. Tre giorni persi per paesaggi irreali, in un bianco accecante, tra rocce dalle forme fantastiche e lagune colorate piene di fenicotteri rosa, alloggiando in alberghi che definire spartani sarebbe davvero eufemistico, e fortunatemente con un bel gruppo di compagni di viaggio.
Un tour estremamente turistico, eppure estremamente selvaggio e "avventuroso", grazie anche alla perenne disorganizzazione dei boliviani, che in realtá inizio a credere sia una scelta di vita consapevole, o comunque consapevolmente accettata.
Qualcuno, non ricordo chi, ha descritto la Bolivia come il paese dove tutto é possibile, ma niente é probabile.
Intanto è successo che, mentre aspettavo il mio turno per fare la doccia (pare che per i miei compagni fosse la priorità appena tornati a Uyuni, per cui anche io mi sono adattato...) è saltata la corrente elettrica nel quartiere (sucede quasi tutti i giorni, a Uyuni): niente acqua calda e niente doccia. Sentra troppo rammarico ho rimandato l'incombenza a domani.
E ora vado a prendere il treno, vediamo cosa potrá succedere questa notte...
Sono reduce dal tour del Salar de Uyuni, la distesa di sale piú grande del mondo. Bello. Tre giorni persi per paesaggi irreali, in un bianco accecante, tra rocce dalle forme fantastiche e lagune colorate piene di fenicotteri rosa, alloggiando in alberghi che definire spartani sarebbe davvero eufemistico, e fortunatemente con un bel gruppo di compagni di viaggio.
Un tour estremamente turistico, eppure estremamente selvaggio e "avventuroso", grazie anche alla perenne disorganizzazione dei boliviani, che in realtá inizio a credere sia una scelta di vita consapevole, o comunque consapevolmente accettata.
Qualcuno, non ricordo chi, ha descritto la Bolivia come il paese dove tutto é possibile, ma niente é probabile.
Intanto è successo che, mentre aspettavo il mio turno per fare la doccia (pare che per i miei compagni fosse la priorità appena tornati a Uyuni, per cui anche io mi sono adattato...) è saltata la corrente elettrica nel quartiere (sucede quasi tutti i giorni, a Uyuni): niente acqua calda e niente doccia. Sentra troppo rammarico ho rimandato l'incombenza a domani.
E ora vado a prendere il treno, vediamo cosa potrá succedere questa notte...
martes, 25 de junio de 2013
Non è facile riprendere il filo, così come non è facile lasciare La Paz dove in questo tempo ho finito col sentirmi quasi "a casa"...
Quanto è passato dall'ultimo post? un mese? Sì, più o meno.
E in un mese di cose ne possono succedere davvero tante.
Spero di riuscire a ricordarle e raccontarle tutte, o almeno le più interessanti.
Ho deciso di farlo un poco per volta, raccogliendo le idee e riordinandole un po', perchè adesso, in questo momento, mi sembra di dover raccontare una vita intera. Ma forse è solo la mia pigrizia, e il fatto che mi sono disabituato a scrivere (è strano come, in poco tempo, quella di scrivere fosse diventata un'abitudine quasi quotidiana, e come, in altrettanto poco tempo, questa abitudine l'abbia persa di nuovo).
Mi sono convinto che questo sia dovuto al fatto che, in un certo senso, a La Paz avevo ricostruito un piccolo mondo per certi versi simile a quello in cui vivo, fatto di amicizie, serate, lavoro, impegni che in qualche modo ti riempiono la vita, ma ti tolgono anche il tempo di pensare, di riflettere, nel bene e nel male, di prenderti quello spazio totalmente intimo e personale che ti dà la solitudine.
Farò una sorta di riassunto a puntate degli episodi che mi sono perso per strada, però non ora, che devo prendere un treno per Uyuni, da cui inizierò il tour del famoso Salar, una delle esperienze più classiche e turistiche della Bolivia, però ugualmente imperdibile.
In questo momento sono a Oruro: Oruro possiede una delle poche stazioni ferroviarie di tutta la nazione.
Dalla stazione di Oruro partono 5 treni passeggeri.
5 treni alla settimana.
Il mio parte tra mezz'ora, non è il caso di perderlo...
Quanto è passato dall'ultimo post? un mese? Sì, più o meno.
E in un mese di cose ne possono succedere davvero tante.
Spero di riuscire a ricordarle e raccontarle tutte, o almeno le più interessanti.
Ho deciso di farlo un poco per volta, raccogliendo le idee e riordinandole un po', perchè adesso, in questo momento, mi sembra di dover raccontare una vita intera. Ma forse è solo la mia pigrizia, e il fatto che mi sono disabituato a scrivere (è strano come, in poco tempo, quella di scrivere fosse diventata un'abitudine quasi quotidiana, e come, in altrettanto poco tempo, questa abitudine l'abbia persa di nuovo).
Mi sono convinto che questo sia dovuto al fatto che, in un certo senso, a La Paz avevo ricostruito un piccolo mondo per certi versi simile a quello in cui vivo, fatto di amicizie, serate, lavoro, impegni che in qualche modo ti riempiono la vita, ma ti tolgono anche il tempo di pensare, di riflettere, nel bene e nel male, di prenderti quello spazio totalmente intimo e personale che ti dà la solitudine.
Farò una sorta di riassunto a puntate degli episodi che mi sono perso per strada, però non ora, che devo prendere un treno per Uyuni, da cui inizierò il tour del famoso Salar, una delle esperienze più classiche e turistiche della Bolivia, però ugualmente imperdibile.
In questo momento sono a Oruro: Oruro possiede una delle poche stazioni ferroviarie di tutta la nazione.
Dalla stazione di Oruro partono 5 treni passeggeri.
5 treni alla settimana.
Il mio parte tra mezz'ora, non è il caso di perderlo...
jueves, 23 de mayo de 2013
La Paz, 22/05
Ho deciso di
fermarmi un mese a La Paz
perchè, come già ho scritto all’inizio di questo blog, il mio vuole essere
anche un viaggio di conoscenza, di scoperta di esperienze che in qualche modo
abbiano a che fare con il mondo dell’agricoltura biologica e del sociale, e qui
ho trovato alcune esperienze che mi interessano e che voglio approfondire.
Una di queste è
AOPEB, che conoscevo già da tempo a con cui ci sono dei contatti istituzionali
attraverso di AIAB, l’altra, che invece ho scoperto qui, è Qalauma.
Sono tornato a
Qalauma altre due volte, dopo la prima, ed ogni volta è stata un’esperienza
importante.
La seconda volta
(con Roberto, responsabile del Mlal, e Eleonora, volontaria) siamo capitati in occasione di un taller,
un laboratorio, di arteterapia sul tema dell’intelligenza emozionale. In
pratica sul conoscere ed esprimere le proprie emozioni. Al taller partecipavano
gli educatori del centro, una decina, e una quindicina di ragazzi, scelti,
credo tra quelli che maggiormente stanno seguendo un percorso positivo.
La mattina stessa
c’erano stati alcuni problemi tra i ragazzi e le guardie, con qualche contatto
fisico di troppo, per cui i ragazzi dell’ala prncipale erano chiusi nella loro
sezione, e il clima era piuttosto teso. Per questo motivo al taller hanno
potuto partecipare solo ragazzi della acogida, l’accoglienza, l’ala in cui i
nuovi arrivati passano tre mesi per iniziare a integrarsi e per essere valutati
dagli educatori.
Il taller era
gestito da tre ragazzi spagnoli (una di origine boliviana) che stanno portando
la loro esperienza in giro per il paese presso scuole, comunità, con ragazzi e
adulti. Premetto che io mi sento sempre piuttosto in difficoltà quando si
tratta di esprimere emozioni, mostrare il proprio lato creativo, empatizzare
con le persone. Ma ne è valsa la pena di fare lo sforzo, per vedere questi
ragazzi, che per convinzione o per necessità si presentano come dei teppisti,
dei duri, mostrare i propri sentimeni, raccontare i propri sogni, le proprie
storie (sempre segnate da abbandono, violenza, marginalità), ridere e piangere,
e alla fine salutarsi con un po’ di magone, pensando che in fondo, dopo una
giornata così, per loro ricomincia la solita routine del carcere, e chissà se
rimarrà qualcosa delle emozioni provate oggi, o se la maschera tornerà a
stamparsi sulla faccia, unica difesa nella lotta quotidiana contro il mondo.
(E in realtà,
sebbene in modo diverso, credo che in fondo, questi momenti facciano bene un
po’ anche a me.)
Alla fine, prima
di tornare alla sezione, i ragazzi si affollano intorno a Gloria, una delle
educatrici spagnole, decisamente carina, reclamando baci e abbracci. Anche
quando ce ne andiamo, i saluti dalle finestre sono tutti per lei.
Sono tornato
nuovamente a Qalauma per parlare con gli educatori e i responsabili, in merito
alla possibilità di ampliare le possibilità commerciali di ciò che viene
prodotto all’interno del centro; sarebbe una boccata d’ossigeno per la sopravvivenza
dei laboratori e del centro stesso.
Abbiamo
nuovamente visitato tutti i laboratori, con più calma stavolta, parlando un po’
con i ragazzi e con gli educatori. Una delle prime idee è di partecipare a
qualche fiera, tra cui la
Biobolivia, per iniziare a fare conoscere un po’ il centro e
i suoi progetti.
La mia giacca
quecha riscuote molti apprezzamenti tra i ragazzi di Qalauma, tutti cercano di
barattarla con qualsiasi cosa, ma non sono molto dell’idea di cederla... alla
fine la lascio per tutta la mattina al laboratorio di cucito, dove prenderanno
le misure per replicarla autonomamente. Fa niente patire un po’ di freddo, la
lascio volentieri. Ma sono anche felice di rimettermela addosso dopo pranzo:
qui sull’altpiano il freddo si sente, più che in città.
Mi colpisce
particolarmente un ragazzo, abbigliamento punk, orecchino al naso, sguardo
franco, intelligente, e buono. Si chiama Krudo, in rete si trovano un video e
un blog che chiedono la sua liberazione (http://krudoalakalle.noblogs.org/
; http://www.youtube.com/watch?v=cToddtPacCY
): è un attivista anarchico, accusato di terrorismo, rischia fino a 20 anni di
carcere per avere, forse, incendiato qualche bancomat... Prima di salutarci mi
ragala una toppa dei Discharge, fatta da lui, nel laboratorio di serigrafia.
Que te vaya bien,
Krudo...
La Paz, 18/05
Tutto questo
succedeva una decina di giorni fa, da allora sono successe parecchie cose:
altre visite a Qalauma, viaggi sul campo con Aopeb, weekend e serate con i
nuovi amici italiani, spagnoli, francesi, tedeschi... mi dispiace solo, fino ad
ora, di non aver stretto rapporti anche con un po’ di paceñi, che sembrano un
po’ meno espansivi degli abitanti dell’est, proprio come mi avevano detto.
Sono un po’
combattuto in questi giorni , lo ammetto, tra il desiderio di fare il
viaggiatore, e la volontá di lavorare e
conoscere un po’ più da vicino il mondo boliviano, soprattutto quello
produttivo, e l’esperienza di Qalauma; vittima delle mia perenne indecisione,
sto cercando al momento mi pare con un discreto successo, di mantenere un
equilibrio tra le due cose.
Il giorno
successivo alla visita a Qalauma, ho incontrato Aurelio, altro operatore
storico del Mlal (Movimento laici per l’America Latina) come Riccardo, e con
lui abbiamo parlatodegli altri progetti del Movimento, come quello per il
miglioramento della Vigogna, che vive in stato di liertà sull’altipiano di Apolobamba
dove, periodicamente, tutti gli abitanti partecipano alla cattura e tosatura
degli animali (per permettere al pelo di ricrescere sufficientemente, un
esemplare può essere tosato solo ogni due anni). Aurelio, sua moglie Anna, così
come Riccardo, dimostrano una conoscenza e una comprensione della complessa e
per me ancora sconosciuta realtà boliviana; verrebbe voglia di ascoltarli
parlare all’infinito.
Nell’ufficio del
Mlal ho conosciuto anche Damiano e Andrè, due volontari italiani, e attraverso
loro, Marianna, Alice, Laura, Dani, Gori, e poi Stefano, Michele, Javi, Klara;
ma ci sono anche Maya, Verena, Anja e altri ancora. Il mondo dei volontari e
cooperanti italiani ed europei è un microcosmo in perenne fermento (pare che
negli anni passati fosse anche più grande), una volta trovato l’ingresso, ed è
bello orbitavi attorno. (Ammetto che a volte ho l’impressione di trovarmi in
un Erasmus fuori tempo massimo... ma va bene così).
È con loro che lo
scorso weekend siamo stati sul Lago Titicaca, alla Isla del Sol, due giorni di
riposo totale (e di grandi bevute di birra) lontano dal caos di La Paz, circondati da una distesa
d’acqua che a volte sembra un mare, se non fosse per la presenza delle vette
imbiancate della Cordillera Real, che ci ricordano di essere a quasi 4000
metri. Confesso di non avere percepito molto la magia delle civiltà preincaiche
con i loro misteri, ma l’atmosfera dell’isola, l’assenza di automobili e di
qualsiasi mezzo a motore, il tramonto ammirato dalle antiche rovine, la via
lattea così luminosa, così viva, tutto contribuisce a farti sentire in un posto
unico e speciale.
jueves, 16 de mayo de 2013
La Paz 13/05
Scusate, sono
rimasto un po’ indietro con gli aggiornamenti, è già una settimana che non
scrivo, e devo un po’ riprendere il filo.
È stata una
settimana strana, questa vissuta a La Paz.
Calma e intensa contemporaneamente.
Prima di tutto
però vi descrivo un po’ come è la città, anche se ancora non posso dire di
averla girata per bene, anche perchè girare a piedi per La Paz, è molto più impegnativo
che girare per qualsiasi altra città che abbia mai visto. I continui
saliscendi, le strade sconnesse (almeno quella che da casa mia va verso il
centro), e l’aria che manca per l’altitudine complicano un po’ l’esplorazione.
C’è anche lil fatto che qui sto lavorando in una oficina, un ufficio vero, per
cui il tempo libero è limitato rispetto a quello che avevo nelle scorse
settimane.
Ad ogni modo,
questa città mi sta affascinando giorno per giorno, riserva una sorpresa ad
ogni angolo. Non mi ricordo dove ho letto che La Paz è una città senza orizzonte, così chiusa,
quasi precipitata in una valle, ma che in compenso agli abitanti si presenta uno
scenario nuovo ad ogni incrocio; ed è vero, il paesaggio qui cambia
continuamente, perchè le vie strette cinte da case non permettono di vedere che
una piccola parte della città, ogni volta differente. E quando tra le facciate
dei palazzi appare imporvvisamente uno scorcio dell’Illimani o di qualche altra
vetta della Cordillera Real, si rimane senza fiato, non solo per l’altitudine.
La Paz, come mi dicevano alcuni ragazzi in un ristorante
vegetariano dal sapore molto hippy, è piena di tesori nascosti. Subito dopo mi
hanno invitato a una serata dal titolo ¨carnivori anonimi¨ in cui la gente racconta
come ha smesso di mangiare carne... non ci sono andato perchè avevo già
un’altra cena, magari settimana prossima.
Proprio oggi,
dopo essere stato all’ufficio della migracion
(un agente non ha ritenuto valida la mia fotocopia del passaporto...)
approfittando del fatto di essere fuori ufficio ho girato per quello che è il
centro storico di La Paz. Un’oasi
di tranquilità isolata dal caos delle strade circostanti dove le auto e gli
autobus appestano l’aria con scarichi da ciminiere, con stradine strette,
acciottolate, case colorate, vecchietti seduti sulle panchine (e negozietti di
artigianato, ovviamente), che si articola attorno a Plaza Murillio.
La pace era
probabilmente in parte dovuta anche al fatto che il centro fosse completamente
recintato dalla polizia, dato che era in corso una maniestazione di insegnanti;
noi ovviamente, in quanto turisti, siamo potuti passare attraverso lo
sbarramento. In realtà qui in Bolivia, ma in particolare a La Paz, le manifestazioni sono
all’ordine del giorno; penso che da quando sono qui non ci sia ancora stato un
giorno senza un corteo. Anzi, poco dopo, tornando verso il mio quartiere, mi
sono imbattuto in un altro corteo, pieno di cholitas
(le donne in abiti tradizionali, con gonne, lunghe trecce nere e bomboetta
in testa). Non so per cosa manifestassero, ma era una bella immagine.
La Paz, 14/05
Come vi scrivevo,
la mi a vita a La Paz,
in questa prima settimana, è stata calma
ma piena allo stesso tempo.
Sono arrivato
lunedì mattina, verso le sette, accolto dal freddo pungente della città che si
stava risvegliando, e nella stazione semideserta c’eravamo quasi solo noi, i
viaggiatori con lo zaino in spalla; tutti i boliviani scesi dalle decine di
flotas appena arrivate si erano già dispersi per le vie tortuose del quartiere
di San Pedro.
Il tempo di bere
un mate de coca, per iniziare ad adeguarmi alle usanze loali, e anche per
evitare di patire subito l’altitudine, che giunge tempestiva la telefonata di
Giovanni, uno dei membri di AOPEB, l’associazione con la quale collaborerò nei
prossimi giorni. Si offre di venirmi a prendere e portarmi direttamente alla
sede dell’associazione, ed io accetto più che volentieri. In realtà nel tempo
passato prima del suo arrivo avrei potuto prendere una decina di taxi, ma fa
piacere appena arrivato fare due chiacchiere con qualcuno, e fa anche piacere
il giro di presentazioni di tutto il personale di AOPEB, che Giovanni mi fa
fare appena scaricato lo zaino: non riuscirò a ricordare nessun nome, come al
solito, sebbene mentalmente cerchi di
memorizzarli uno a uno, ma avrò tempo di impararli nei giorni a venire.
Scopro che Anja,
la ragazza tedesca che mi ospiterà in questi prini giorni, lavora fino alle
sei, sicchè non mi resta che prendere posto alla (micro)scrivania che mi hanno
dato e iniziare a leggere un po’ di materiale sui progetti dell’associazione.
Qui sono tutti impegnatissimi per l’organizzazione della fiera Biobolivia (eh
sì, ammetto di avere copiato...) che si terrà il 17, 18, 19 di maggio, e
nessuno ha molto tempo da dedicarmi.
Sarà un lunedì
molto lungo, tra l’attesa di poter scaricare le mie cose nella nuova stanza, e
il sonno accumulato nel viaggio.
In compenso Anja
è una padrona di casa stupenda (dato che la casa è grande ospita persone,
couchsurfers e pseudovolontari disgraziati come me, senza chiedere niente in
cambio) la stanza è bellissima, come
tutta la casa, e quando mi sistemo, ormai è il tramonto, dalla finestra si vede
l’Illimani tinto di rosa che domina tutta la città. Sufficiente per farmi
innamorare di La Paz.
La Paz, 15/05
I giorni seguenti
sono stati segnati da due eventi in partcolare: il primo è stato l’incontro con
Riccardo Giavarini, cooperante in Bolivia da ormai 37 anni, il secondo con un
gruppo di italiani (tra volontari, cooperanti, viaggiatori) che mi ha fatto
apprezzare anche il lato più festaiolo di La Paz.
Con Riccardo ci
eravamo sentiti, casualmente, il giorno prima della mia partenza: aveva
chiamato in cooperativa (quando scrivo cooperativa intendo in Aretè, dove
lavoro) per conoscere la nostra realtà, dicendo che stava facendo un lavoro di
riabilitazione con un carcere minorile, casualmente a La Paz. Casualmente,
il giorno in cui ha chiamato, ero passato in cooperativa per salutare i
colleghi prima della partenza, e appena saputo di questa chiamata mi sono fatto
dare il suo numero: Riccardo non è poi riuscito a passare in Aretè, ma abbiamo
fissato un appuntamento qui in Bolivia.
Non mi ricordo il
giorno che ci siamo visti, mi sembra mercoledì, ma siamo andati quel giorno
stesso a Qualauma, e questo non posso dimenticarlo.
Qalauma è un centro
di riabilitazione e reinserimento di giovani detenuti (tra i 16 e i 21 anni),
il primo, e attualmente l’unico in Bolivia; un progetto assolutamente nuovo e
sperimentale, in un paese dove in minorenni, anche in attesa di giudizio,
vengono trattati alla stregua degli adulti, e rinchiusi assieme a loro. In
questo posto, che rimane comunque un carcere , purtroppo, i ragazzi possono
lavorare in diversi talleres (laboratori): falegnameria, panetteria,
serigrafia, sartoria, ceramica, un piccolo orto e un allevamento di animali da
corte (galline, conigli, porcellinid’india). Inoltre sono seguiti da un gruppo
di psicologi ed educatori. Le difficoltà per mantenere in vita Qalauma sono
innumerevoli, prima fra tutte la costante mancanza di fondi, dato anche la rtrosia
da parte del governo a finanziare il progetto.
Il viaggio stesso
verso il centro ha il sapore di un’odissea, tra la strada dissestada, i cani
(innumerevoli, irrimediabilmente randagi) che pare non aspettino altro che di
buttarsi in mezzo alla strada, i bloqueos (blocchi stradali fatti da
manifestanti) praticamente quotidiani che creano immensi ingorghi e costringono
alla tragicomica ricerca di una via alternativa per passare, il paesaggio
sempre più precario da El Alto (una volta periferia di La Paz, ora città autonoma), a
Viacha, alla pampa in mezzo a cui si trova il centro; una distesa di case
sempre più incompiute man mano che si procede, puntellate dalle mille chiese
bianche costruite dal leggendario padre Hobermeyer , e perennemente vuote, a
quanto dicono.
Forse potrei dare
una mano a trovare soluzioni per commercializzare i prodotti realizzati dai
ragazzi di Qualauma, dice Riccardo. Forse. Di sicuro ci tornerò, qui, almeno
per provarci.
martes, 7 de mayo de 2013
La Paz 7/05
A La Paz, finalmente!
Sono arrivato ieri mattina, intorno alle 7, dopo un viaggio su un pullman che definire freddo credo non sia sufficiente... al mattino ho sentito l'autista che mormorava quacosa in proposito a un finestrino aperto durante la notte, spero sinceramente che il motivo non fosse quello. Ho capito però perchè tutti eramo muniti di coperta, prima di salire sul mezzo. Io ovviamente avevo lasciato il sacco a pelo nello zaino, nel bagagliaio. Mi sono messo addosso tutto quello che avevo a disposizione, compresa una salvietta a mo' di coperta... alla fine sono anche riuscito adormire un poco.
Non vi ho ancora parlato dell'esperienza dei viaggi in autobus, le flotas, che qui sono i mezzi di trasporto principali, e che generalmente viaggiano di notte. In realtà il viaggio in sè, a parte il freddo, non è così male: ci sono a disposizione posti normali, camas (con sedile reclinabile e poggiapiedi a mo' di dentista), e cuccette (un lusso che non mi sono ancora permesso). Certo, non è come in Turchia che ti portano la merendina e il profumo al limone per le mani, ma sono silenziosi, comodi, e addirittura con il bagno più o meno funzionante.
La cosa divertente è arrivarci a prenderlo, il pullman.
La prima volta che sono stato in un terminal, è stato a Santa Cruz, accompagnato da Maribel (a Santa Cruz c'è sempre qualcuno che ti accompagna...), il pomeriggio prima di partire per Cochabamba. La stazione mi sembrava un posto molto tranquillo, poca gente in giro, ogni compagnia con il proprio stand, terminali in cui ti indicavano i posti liberi. Secondo il parere di Maribel però, i prezzi erano troppo alti, si sarebbero abbassati in serata. Per cui non abbiamo acquistato il biglietto e siamo tornati in ufficio.
In serata, dopo una semplice despedida a base di caffè e sonzo (sempre buono, il sonzo), sono tornato al terminal dei bus, stavolta accompagnato addirittura da una delegazione, composta da Maribel, Gina, Georjina e sua figlia di pochi mesi.
Il luogo tutto sommato semplice e tranquillo di qualche ora prima si era nel frattempo trasformato in una specie di caotico mercato in cui i dipendenti delle diverse compagnie, aumentati esponenzialmente, urlavano a gran voce le destinazioni e prezzi dei biglietti, cercando ti attirarci verso il proprio stand, mentre dovevamo farci largo tra una folla di persone, anche loro in cerca di un biglietto, montagne di bagagli, orde di venditori di cibo, bevande, generi di conforto. Alla fine il prezzo del biglietto era identico a quello del pomeriggio...
Confesso che quando il mio comitato di addio se n'è andato, mi sono sentito un po' perso.
Alla fne, come dicevo, il viaggio in sè non è stato male, circondato da cholitas che ridevano di gusto per ogni schianto frontale evitato (a un certo punto abbiano anche speronato un altro autobus reo di non aver ceduto il passo con prontezza), nel buio assoluto della carretera, illuminato solo dai fari e da qualche sparuto villaggio.
Al mattino, il terminal di Cochabamba, si presentava silenzioso e ordinato, ma sapevo ormai che, qualche giorno dopo, al momento di prendere la mia flota per La Paz, non sarebbe stato così.
Ad ogni modo, è bello vedere come in questo caos tutto alla fine funziona, le persone (e i bagagli), arrivano a destinazione: solo, l'impressione è che tutto si potrebbe fare molto più ordinatamente, e silenziosamente. Ma questa è la mia deformazione da europeo un po' troppo ben abituato...
L'immagine più bella del viaggio verso La Paz, è la carovana di fari che nella notte si inerpicava verso l'altopiano, lentamente, per raggiungere i 3600 metri di una delle metropoli più alte del mondo...
A La Paz, finalmente!
Sono arrivato ieri mattina, intorno alle 7, dopo un viaggio su un pullman che definire freddo credo non sia sufficiente... al mattino ho sentito l'autista che mormorava quacosa in proposito a un finestrino aperto durante la notte, spero sinceramente che il motivo non fosse quello. Ho capito però perchè tutti eramo muniti di coperta, prima di salire sul mezzo. Io ovviamente avevo lasciato il sacco a pelo nello zaino, nel bagagliaio. Mi sono messo addosso tutto quello che avevo a disposizione, compresa una salvietta a mo' di coperta... alla fine sono anche riuscito adormire un poco.
Non vi ho ancora parlato dell'esperienza dei viaggi in autobus, le flotas, che qui sono i mezzi di trasporto principali, e che generalmente viaggiano di notte. In realtà il viaggio in sè, a parte il freddo, non è così male: ci sono a disposizione posti normali, camas (con sedile reclinabile e poggiapiedi a mo' di dentista), e cuccette (un lusso che non mi sono ancora permesso). Certo, non è come in Turchia che ti portano la merendina e il profumo al limone per le mani, ma sono silenziosi, comodi, e addirittura con il bagno più o meno funzionante.
La cosa divertente è arrivarci a prenderlo, il pullman.
La prima volta che sono stato in un terminal, è stato a Santa Cruz, accompagnato da Maribel (a Santa Cruz c'è sempre qualcuno che ti accompagna...), il pomeriggio prima di partire per Cochabamba. La stazione mi sembrava un posto molto tranquillo, poca gente in giro, ogni compagnia con il proprio stand, terminali in cui ti indicavano i posti liberi. Secondo il parere di Maribel però, i prezzi erano troppo alti, si sarebbero abbassati in serata. Per cui non abbiamo acquistato il biglietto e siamo tornati in ufficio.
In serata, dopo una semplice despedida a base di caffè e sonzo (sempre buono, il sonzo), sono tornato al terminal dei bus, stavolta accompagnato addirittura da una delegazione, composta da Maribel, Gina, Georjina e sua figlia di pochi mesi.
Il luogo tutto sommato semplice e tranquillo di qualche ora prima si era nel frattempo trasformato in una specie di caotico mercato in cui i dipendenti delle diverse compagnie, aumentati esponenzialmente, urlavano a gran voce le destinazioni e prezzi dei biglietti, cercando ti attirarci verso il proprio stand, mentre dovevamo farci largo tra una folla di persone, anche loro in cerca di un biglietto, montagne di bagagli, orde di venditori di cibo, bevande, generi di conforto. Alla fine il prezzo del biglietto era identico a quello del pomeriggio...
Confesso che quando il mio comitato di addio se n'è andato, mi sono sentito un po' perso.
Alla fne, come dicevo, il viaggio in sè non è stato male, circondato da cholitas che ridevano di gusto per ogni schianto frontale evitato (a un certo punto abbiano anche speronato un altro autobus reo di non aver ceduto il passo con prontezza), nel buio assoluto della carretera, illuminato solo dai fari e da qualche sparuto villaggio.
Al mattino, il terminal di Cochabamba, si presentava silenzioso e ordinato, ma sapevo ormai che, qualche giorno dopo, al momento di prendere la mia flota per La Paz, non sarebbe stato così.
Ad ogni modo, è bello vedere come in questo caos tutto alla fine funziona, le persone (e i bagagli), arrivano a destinazione: solo, l'impressione è che tutto si potrebbe fare molto più ordinatamente, e silenziosamente. Ma questa è la mia deformazione da europeo un po' troppo ben abituato...
L'immagine più bella del viaggio verso La Paz, è la carovana di fari che nella notte si inerpicava verso l'altopiano, lentamente, per raggiungere i 3600 metri di una delle metropoli più alte del mondo...
sábado, 4 de mayo de 2013
Cochabamba 4/05
Visitare i mercati é per me sempre un'esperienza interessante, per vedere un po' piú da vicino una cittá, le sue persone, la vita che si muove, i rapporti umani nella loro quotidianitá immediata.
La fida Lonely dice che il mercato di Cochabamba é il piú grande della Bolivia; se anche non lo fosse, poco importa, é decisamente qualcosa di difficile da definire, nel senso che é letteralmente difficile stabilirne i confini. Non ha propriamente dei limiti, diciamo che si diluisce lentamente nelle vie della cittá, andando a intersecarsi con quelle che sono le normali attivitá commerciali (ma molto spesso la differenza é labile).
Non avevo niente in particolare da comprare, solo avevo deciso di dedicare qualche ora a gironzolare per questo enorme agglomerato di oggetti e persone. L'impatto iniziale é stato piuttosto brusco: il caos, il rumore, le persone ti avvolgono e ti circondano, cosí come circondano i micros (gli autobus) che cercano di attraversarlo e che in piú occasioni ho visto fermi, impossibilitati a fendere la folla. Mi chiedo per quale ragione le persone a bordo non scendessero continuando a piedi...
Il mercato é diviso per zone: scarpe, articoli sportivi, cd e dvd pirata, frutta, sartoria, e cosí via.
Passando per la zona dei cellulari rimango colpito dai prezzi bassissimi di alcuni modelli.
- Quanto costa questo?
- 300 boliviani (meno di 40 euro, da noi costerebbe almeno 400 euro)
- Come, cosí poco?
- Sí, ma non é originale, é una copia cinese (con tanto di marchio)
- Ma... funziona?
- No, se ne vuoi uno che funzioni ho un i-phone4, costa 600 dollari.
Ringrazio, apprezzando l'onestá del venditore.
Prima di uscire passo per il settore delle torte (qui in Bolivia le torte hanno un che di scenografico, di spettacolare) e non resisto a prenderne una fetta: cerco il banco apparentemente piú pulito, ha anche una sorta di vetrina frigorifera anche se non credo sia mai stata accesa... La torta é buonissima, ora incrociamo le dita.
Non volendo girare per il mercato con la cartina alla mano (ero giá abbastanza appariscente anche senza) sono stato attentissimo a ricordarmi ogni svolta, sicché sono sicuro di dove sto andando.
Inutile dire che quando finalmente esco dal dedalo di bancarelle, non mi trovo dove avrei dovuto...
Visitare i mercati é per me sempre un'esperienza interessante, per vedere un po' piú da vicino una cittá, le sue persone, la vita che si muove, i rapporti umani nella loro quotidianitá immediata.
La fida Lonely dice che il mercato di Cochabamba é il piú grande della Bolivia; se anche non lo fosse, poco importa, é decisamente qualcosa di difficile da definire, nel senso che é letteralmente difficile stabilirne i confini. Non ha propriamente dei limiti, diciamo che si diluisce lentamente nelle vie della cittá, andando a intersecarsi con quelle che sono le normali attivitá commerciali (ma molto spesso la differenza é labile).
Non avevo niente in particolare da comprare, solo avevo deciso di dedicare qualche ora a gironzolare per questo enorme agglomerato di oggetti e persone. L'impatto iniziale é stato piuttosto brusco: il caos, il rumore, le persone ti avvolgono e ti circondano, cosí come circondano i micros (gli autobus) che cercano di attraversarlo e che in piú occasioni ho visto fermi, impossibilitati a fendere la folla. Mi chiedo per quale ragione le persone a bordo non scendessero continuando a piedi...
Il mercato é diviso per zone: scarpe, articoli sportivi, cd e dvd pirata, frutta, sartoria, e cosí via.
Passando per la zona dei cellulari rimango colpito dai prezzi bassissimi di alcuni modelli.
- Quanto costa questo?
- 300 boliviani (meno di 40 euro, da noi costerebbe almeno 400 euro)
- Come, cosí poco?
- Sí, ma non é originale, é una copia cinese (con tanto di marchio)
- Ma... funziona?
- No, se ne vuoi uno che funzioni ho un i-phone4, costa 600 dollari.
Ringrazio, apprezzando l'onestá del venditore.
Prima di uscire passo per il settore delle torte (qui in Bolivia le torte hanno un che di scenografico, di spettacolare) e non resisto a prenderne una fetta: cerco il banco apparentemente piú pulito, ha anche una sorta di vetrina frigorifera anche se non credo sia mai stata accesa... La torta é buonissima, ora incrociamo le dita.
Non volendo girare per il mercato con la cartina alla mano (ero giá abbastanza appariscente anche senza) sono stato attentissimo a ricordarmi ogni svolta, sicché sono sicuro di dove sto andando.
Inutile dire che quando finalmente esco dal dedalo di bancarelle, non mi trovo dove avrei dovuto...
Le piazze, qua, hanno qualcosa di speciale.
Grossomodo si assomigliano tutte, come conformazione, almeno quelle che ho visto fino ad ora.
Di pianta quadrata, tagliate diagonalmente da passaggi pedonali, costellate di panchine e rigogliose di vegetazione: palme, alberi da frutto, cespugli, fiori. Le piazze sono l'occasione per le persone di rilassarsi, leggere, bere o mangiare qualcosa, riposarsi all'ombra quando il caldo si fa insopportabile.
La piazza di Cochabamba, un po' piú piccola di quella di Santa Cruz, si chiama 14 Septiembre, e pare richiamare a tutte le ore del giorno e della notte assembramenti di persone vogliose di parlare, soprattutto di politica.
Ho scoperto che nel 2000 Cochabamba é stata il fulcro di una vittoriosa rivolta contro la privartizzazione dell'acqua, e da allora nella piazza c'é un presidio permanente di persone che si ritrovano per commentare i giornali e di tanto in tanto organizzano una "charla", un dibattito pubblico, discutendo di temi di attualitá oppure su argomenti piú generali.
Quella a cui ho assistito io ieri, prendendo spunto dall'espulsione dell'agenzia di aiuti americana USAID dalla Bolivia (non conosco molto i fatti), parlava di colonizzazione e decolonizzzione, ed era animata da un ragazzo che con una certa dose di ironia, se la prendeva con i gringos (io ero l'unico presente...) e devo dire che su molte cose era difficile dargli torto.
Ripassando per la piazza la notte stessa, all'angolo opposto mi sono imbattuto in un comico di strada, che con battute basate principalmente su rapporti sessuali, masturbazione e insulti ai presenti mi ha fatto scompisciare dalle risate. Ovviamente anche io, in quanto gringo, ho ricevuto la mia dose di sfottó (in realtá abbastanza leggera rispetto a quella riservata ai locali), ma era parte del gioco, e alla fine ho contribuito con piacere alla colletta.
Nel frattempo, poco piú in lá un altro oratore continuava la sua charla...
Grossomodo si assomigliano tutte, come conformazione, almeno quelle che ho visto fino ad ora.
Di pianta quadrata, tagliate diagonalmente da passaggi pedonali, costellate di panchine e rigogliose di vegetazione: palme, alberi da frutto, cespugli, fiori. Le piazze sono l'occasione per le persone di rilassarsi, leggere, bere o mangiare qualcosa, riposarsi all'ombra quando il caldo si fa insopportabile.
La piazza di Cochabamba, un po' piú piccola di quella di Santa Cruz, si chiama 14 Septiembre, e pare richiamare a tutte le ore del giorno e della notte assembramenti di persone vogliose di parlare, soprattutto di politica.
Ho scoperto che nel 2000 Cochabamba é stata il fulcro di una vittoriosa rivolta contro la privartizzazione dell'acqua, e da allora nella piazza c'é un presidio permanente di persone che si ritrovano per commentare i giornali e di tanto in tanto organizzano una "charla", un dibattito pubblico, discutendo di temi di attualitá oppure su argomenti piú generali.
Quella a cui ho assistito io ieri, prendendo spunto dall'espulsione dell'agenzia di aiuti americana USAID dalla Bolivia (non conosco molto i fatti), parlava di colonizzazione e decolonizzzione, ed era animata da un ragazzo che con una certa dose di ironia, se la prendeva con i gringos (io ero l'unico presente...) e devo dire che su molte cose era difficile dargli torto.
Ripassando per la piazza la notte stessa, all'angolo opposto mi sono imbattuto in un comico di strada, che con battute basate principalmente su rapporti sessuali, masturbazione e insulti ai presenti mi ha fatto scompisciare dalle risate. Ovviamente anche io, in quanto gringo, ho ricevuto la mia dose di sfottó (in realtá abbastanza leggera rispetto a quella riservata ai locali), ma era parte del gioco, e alla fine ho contribuito con piacere alla colletta.
Nel frattempo, poco piú in lá un altro oratore continuava la sua charla...
viernes, 3 de mayo de 2013
Cochabamba, 3/05
È incredibile il modo che hanno qui di essere ospitali, l'attenzione, la disponibilità e il tempo che ti dedicano, senza neanche quasi conoscerti. Almeno, così è stato fino a ora.
Mercoledì, 1 maggio, volevo visitare Samaipata, un piccolo paese a circa 2 ore e mezzo da Santa Cruz. Ruth si era offerta, come sempre, di accompagnarmi, ma alcui impegni familiari le impedivano di esserci, quel giorno. Ovviamente io sarei andato anche da solo, ma dal suo punto di vista questo non era assolutamente concepibile. È stata coinvolta nel caso Gina, altra collaboratrice di Fides, che si è offerta di buon grado di farmi da guida, nonostante fosse stata a Samaipata di recente.
In realtà anche Gina aveva degli impegni con l'università, una consegna da fare tassativamente entro giovedì, per cui la sera prima, dispiaciuta, mi ha confessato che non sarebbe potuta venire. Ma proprio in quel momento, un ufficio, era presente Jessica, sorella di Georjina (altra collaboratrice di Fides) che, non ho ben capito in che modo (tutto si è svolto molto velocamente), è diventata la mia guida e accompagnatrice per il giorno seguente.
In realtà, il mercoledì, sarebbero state in due, lei e Erika, altra sorella, a condividere la bella gita a Samaipata. Insomma, la famosa ospitalità cruzeña non si è smentita nemmeno in questo caso.
Tralascio i dettagli del viaggio, vi dico solo che farsi tre ore seduti su un cuscino tra i due sedili anteriori, proprio lì dove c'è il cambio, non è esattamente fare un viaggio comodo.
In macchina con noi c'è anche una coppia di brasiliani (non trovo il bigliettino con i loro nomi, al momento) con cui abbiamo chiacchierato tutto il viaggio, e anche pranzato insieme, arrivati a Samaipata. Loro vivono lì da alcuni mesi, e paiono molto felici di quasta condizione. Mi parlano anche di una fattoria, gestita da una coppia di tedeschi, che oltre a coltivare, produce anche birra biologica: è possibile lavorare da loro in cambio di ospitalità e vitto (il numero è sempre sul bigliettino che devo assolutamente ritrovare...).
Di per sè Samaipata non è altro che un pueblito di poche case e poche strade, ma la presenza di tanti stranieri, i negozietti di artigianato, il movimento di turisti (tutti zaino-in-spalla), la rende un piccolo angolo di quiete e di movimento insieme.
Continuo a chiedere a tutti (alle mie giude, agli autisti, a tutti) come mai a Samaipata ci siano così tanti turisti, e solo turisti un po', diciamo, hippy... Ok il Fuerte (il sito precolombiano), ok il parco nazionale Amborò, però deve esserci qualcosa d'alto. I miei dubbi resteranno senza risposta.
Sulla via del ritorno ci fermiamo a Las Cuevas, un bel fiumiciattolo con alcune cascate. Non fosse che è quasi buio, e che l'acqua in questa stagione è un poco bassa, sarebbe bello fare un bagno.
Comunque parto da Samaipata con la ferma intenzione di ritornarci... Dovrò pianificare l'itinerario, per ora ancora sono piuttosto confuso.
Ora sono a Cochabamba, domani vi parlerò un po' di questa bella cittadina.
È incredibile il modo che hanno qui di essere ospitali, l'attenzione, la disponibilità e il tempo che ti dedicano, senza neanche quasi conoscerti. Almeno, così è stato fino a ora.
Mercoledì, 1 maggio, volevo visitare Samaipata, un piccolo paese a circa 2 ore e mezzo da Santa Cruz. Ruth si era offerta, come sempre, di accompagnarmi, ma alcui impegni familiari le impedivano di esserci, quel giorno. Ovviamente io sarei andato anche da solo, ma dal suo punto di vista questo non era assolutamente concepibile. È stata coinvolta nel caso Gina, altra collaboratrice di Fides, che si è offerta di buon grado di farmi da guida, nonostante fosse stata a Samaipata di recente.
In realtà anche Gina aveva degli impegni con l'università, una consegna da fare tassativamente entro giovedì, per cui la sera prima, dispiaciuta, mi ha confessato che non sarebbe potuta venire. Ma proprio in quel momento, un ufficio, era presente Jessica, sorella di Georjina (altra collaboratrice di Fides) che, non ho ben capito in che modo (tutto si è svolto molto velocamente), è diventata la mia guida e accompagnatrice per il giorno seguente.
In realtà, il mercoledì, sarebbero state in due, lei e Erika, altra sorella, a condividere la bella gita a Samaipata. Insomma, la famosa ospitalità cruzeña non si è smentita nemmeno in questo caso.
Tralascio i dettagli del viaggio, vi dico solo che farsi tre ore seduti su un cuscino tra i due sedili anteriori, proprio lì dove c'è il cambio, non è esattamente fare un viaggio comodo.
In macchina con noi c'è anche una coppia di brasiliani (non trovo il bigliettino con i loro nomi, al momento) con cui abbiamo chiacchierato tutto il viaggio, e anche pranzato insieme, arrivati a Samaipata. Loro vivono lì da alcuni mesi, e paiono molto felici di quasta condizione. Mi parlano anche di una fattoria, gestita da una coppia di tedeschi, che oltre a coltivare, produce anche birra biologica: è possibile lavorare da loro in cambio di ospitalità e vitto (il numero è sempre sul bigliettino che devo assolutamente ritrovare...).
Di per sè Samaipata non è altro che un pueblito di poche case e poche strade, ma la presenza di tanti stranieri, i negozietti di artigianato, il movimento di turisti (tutti zaino-in-spalla), la rende un piccolo angolo di quiete e di movimento insieme.
Continuo a chiedere a tutti (alle mie giude, agli autisti, a tutti) come mai a Samaipata ci siano così tanti turisti, e solo turisti un po', diciamo, hippy... Ok il Fuerte (il sito precolombiano), ok il parco nazionale Amborò, però deve esserci qualcosa d'alto. I miei dubbi resteranno senza risposta.
Sulla via del ritorno ci fermiamo a Las Cuevas, un bel fiumiciattolo con alcune cascate. Non fosse che è quasi buio, e che l'acqua in questa stagione è un poco bassa, sarebbe bello fare un bagno.
Comunque parto da Samaipata con la ferma intenzione di ritornarci... Dovrò pianificare l'itinerario, per ora ancora sono piuttosto confuso.
Ora sono a Cochabamba, domani vi parlerò un po' di questa bella cittadina.
martes, 30 de abril de 2013
Santa Cruz, 30/04
Inizio ad amare l’aria
che si respira in questa cittá, soprattutto il clima di rilassatezza della
piazza centrale, Plaza 24 de septiembre, dove piú di una volta in questi giorni
mi sono ritrovato a passeggiare, leggere, o semplicemente sedermi all’ombra
degli alberi tropicali che la adornano, e guardare le persone che passano, pensando
che probabilmente nel clima freddo di La Paz, rimpiangeró questi momenti.
Domenica, dopo un
tour cultural-gastronomico, ma soprattutto gastronomico, con Ruth e famiglia al
completo (marito, tre figli e un cane) con soste ogni ora circa per assaggiare
qualche prelibatezza locale,nel mio girovagare solitario del tardo pomeriggio
sono perfino andato a teatro (!) a vedere lo spettacolo di una compagnia cilena
che parlava della morte di 81 detenuti in seguito a un incendio dovuto alla
negligenza delle autoritá penitenziarie. Non ho capito se la compagnia stessa
era composta in parte da ex detenuti, o famigliari. Lo spettacolo é stato
emozionante, e credo che la mia comprensione dello spagnolo migliori di giorno
in giorno.
La mattina di
sabato, verso le 7, prendo un taxi verso il puente Urubó, dove ho appuntamento
con Daniel, il proprietario della fattoria dove si terrá il corso. Il luogo
dell’appuntamento é un viavai di taxi e furgoni, che arrivano e caricano quante
piú persone possibili, coordinati da una donna che con fare deciso smista le
decine di persone in attesa. Mi chiedo come faró a riconoscere Daniel, quando
incrocio una ragazza che si distingue decisamente per l’aspetto: dread,
vestitino a fiori, sacco a pelo e melodica (una specie di tastiera con un
tubicino per soffiarvi dentro). Incrociamo lo sguardo e subito mi chiede se
sono lí anche io per il corso di permacultura: evidentemente non sembro proprio
un boliviano... Immediatamente dopo arriva anche Daniel (che ci identifica al
volo in mezzo alla ressa) e ci dirigiamo verso il suo furgone. La ragazza é
argentina, sono un paio di anni che sta girando per il sud America, ma ora sta
pensando di tornare verso casa. Mi faccio ripetere varie volte il suo nome, ma
proprio non riesco a capire come si chiami: qualcosa che suona come Ashe...
La proprietá é un
poccolo angolo di foresta appena fuori della cittá, Daniel mi spiega che sta
facendo dei lavori con l’idea di andarci a vivere stabilmente, non appena sará
pronta.
In tutto siamo
una dozzina si persone a partecipare al corso: ci sono alcuni membri di un’associazione
di volontariato che offre percorsi terapeutici gratutiti e che vuole aprire un
centro di aiuto in cui fare agricoltura, alcuni studenti di agraria, un paio di
pensionati (un architetto ed un agronomo) che non si sono ancora stancati di
imparare, piú altre varie persone piú o meno strane, arrivate da varie parti
del mondo. Piú tardi ci raggiungerá anche Marcelo, che é stato il primo ad
accennarmi di questo corso e che non potró mai ringraziare abbastanza.
Il nostro
maestro, nonché “capitano della nave”, si chiama Tierra, ed é un argentino con
una folta barba e una famiglia nomade, composta dalla sua compagna, le figlie,
e Giuseppe, una sorta di folletto sempre sorridente che si aggira suonando e
dispensando allegria. Il corso durerebbe una decina di giorni, ma io purtroppo
parteciperó solo oggi, ma sará sufficiente a farmi un’idea, per lo meno della
filisofia che sta alla base della permacultura.
In tutto il
giorno, di agricoltura si parlerá ben poco: solo a fine giornata vedremo alcuni
progetti realizzati da Tierra e dal suo gruppo di agricoltori viaggianti.
Invece tutta la mattina sará dedicata a conoscerci, affiatarci, diventare un
gruppo, creare un legame tra le persone: abbracci, risa, sguardi, contatto
fisico. Tutto con un sapore tanto hippy, ma, grazie anche alla simpatia di
Tierra, cosí vero e coinvolgente da farmi sentire quasi parte di una famiglia.
Non so come dire, ma é stata quell’iniezione di fiducia per le persone di cui
avevo davvero bisogno in questo momento.
La giornata é
intensa, il corso continuerá fino alle 9 di sera, e cosí sará per i giorni a
venire, e mi dispiace davvero lasciare gli altri quando me ne vado, abbraccio
tutti, con la promessa di restare in contatto... chissá.
Ad ogni modo, i
principi della permacultura (sperando di non aver equivocato qualcosa con la
mia comprensione ancora limitata dello spagnolo) sono:
- Cuidado con la tierra
- Cuidado de la gente
- Distribucion equitativa de los excedentes
- Establecer limites al consumo y a la
poblacion
E i principi di
attitudine:
- El problema es la solucion
- Cooperacion, no competencia
- Trabaje con la neturaleza, no contra de ella
- Minimize el mantenimiento
- Trabaje donde cuenta
- Enseñale a quien quiere saber
- Utilise toto a su maxima capacitad
- Maximise las cosechas
Santa Cruz, 30/04
Giovedí e venerdí
scorsi sono stati giorni abbastanza sedentari: giovedí mattina abbiamo
partecipato ad un taller, un seminario, sull’espansione della frontiera
agricola in questa regione, potendo
vedere i dati di quello che giá il giorno prima avevamo osservato dal vivo
lungo la strada per San Julian: e cioé che la foresta viene costantemente erosa
per fare posto alle coltivazioni estensive, soprattutto di soia, mais e
girasole.
Ovviamente questo
porta anche grossi vantaggi economici, e risponde ad una richiesta sempre
maggiore (soprattutto per l’esportazione), ma non é facile nascondere lo
sgomento vedendo di quanto continui a ridursi la foresta ogni anno, a favore
della produzione agricola.
Conosciamo alcuni
professori universitari, e uno di loro ci parla nuovamente di questo corso di
permacultura (ce ne aveva giá accennato Marcelo) che si terrá da sabato appena
fuori dalla cittá. La cosa comincia a incuriosirmi, anche se non so se potró prendervi
parte...
Venerdí abbiamo
accompagnato Giorgia in aeroporto, la sua pasantia é finita, e riparte per
l’Italia. Il suo bagaglio é lievitato in questi mesi, ed ora é ampiamente al di
fuori dei limiti accettati, ma con una lunga contrattazione e diversi
occultamenti si riesce a imbarcare tutto ugualmente. Confesso che mi mancherá
la mia coinquilina nei giorni a venire.
Di ritorno
dall’aeroporto vado con Maribel a una riunione per organizzare una
“Bicidomingo”, domenica 12 maggio. L’idea di girare in bici per questa cittá
continua a sembrarmi una sfida all’istinto di autoconservazione, eppure a
quanto pare ci sono diverse persone (tra cui l’immancabile Marcelo) che credono
che un modo diverso di muoversi sia possibile anche qui. Apprezzo la loro fiducia
e la loro temerarietá.
All’ingresso
degli uffici comunali c’é un piccolo assembramento di persone che protestano
(non so per quale motivo); Maribel mi dice che é cosí praticamente ogni giorno.
La riunione é
interessante, ma l’impressione é che, a due settimane dall’iniziativa, le cose
da fare siano ancora innumerevoli, e le persone un po’ poche; come dice
Marcelo, l’importante é che qualcosa si faccia. Se non sará 100, ma solo 50, é
comunque meglio di zero.
Quando usciamo
dal palazzo, i manifestanti hanno appena ottenuto ció che chiedevano: se ne
vanno trionfanti, e noi con loro.
Torno a “casa”,
nella stanza che ora non é piú una doppia ma una singola, e decido: domani
andró a scoprire cosa é questa famosa permacultura.
lunes, 29 de abril de 2013
Santa Cruz, 29/04
Mercoledí
finalmente ci siamo avventurati fino al Municipio di San Julian, sede del
progetto CEPRODE (Centro de Producion Ecológico), circa tre ore vi viaggio su
un trufi scassato, piú un’altra mezzora su uno ancora piú scassato per raggiungere
il Nucleo 23, l’abitato (non si sa bene quanta gente ci viva, mi han detto
cifre variabili tra le 300 e le 1000 persone) dove si trova fisicamente il
centro di produzione biointensiva.
Prima peró ci
siamo fermati alla sede dell’alcaldia per parlare con l’assessore allo
sviluppo, intervistato da Giorgia, che con una accondiscendenza tutta
politichese ci ha spiegato che la produzione di soya si sta espandendo
enormemente in questi anni (viaggiando da Santa Cruz a San Julian fa davvero
impressione l’estenzione dei campi di soia a perdita d’occhio) e che tutti ne
stanno beneficiando; certo sarebbe bello se non fosse transgenica, ma quella
convenzionale costa troppo, e certo c’é qualche problema di deforestazione, ma l’amministrazione
si sta adoperando per contenerli.
Rinfrancati dalle
parole dell’amministratore, siamo andati appunto a visitare l’unico
appezzamento di terra in tutto il municipio non coltivato estensivamente, bensí
con un progetto di “agricoltura biointensiva”, che prevede piccoli appezzamenti
(2000 mq) coltivati in modo tale da bastare al sostentamento di una famiglia,
in modo del tutto biologico.
A dire il vero
attualmente il terreno é coltivato per lo piú a mais, ma il progetto é appena
partito e adesso dovrebbero cominciare le semine di ortaggi.
L’idea di Javier,
il responsabile della produzione, é di vendere l’eccedende al mercato di Santa
Cruz, ma io provo a comunicargli la mia opinione, che sarebbe molto meno
dispendioso e piú redditizio provare a vendere direttamente i prodotti al dettaglio,
magari a San Julian. Discutiamo un po’, alla fine non mi pare molto convinto
delle mie argomentazioni.
Quello che mi
appare piuttosto evidente é che il lavoro da fare sarebbe tantissimo, e mi
dispiace di fermarmi qui a Santa Cruz solo qualche giorno...
Torniamo verso San Julian con un trufi che é ancora piú malridotto dei precedenti, e completamente ricoperto di polvere, dentro e fuori, come noi del resto; ormai é buio (qui fa buio verso le 18.30), ed é quasi un miracolo trovare una vettura vuota, comoda e con i finestrini che si chiudono, che ci trasporterá per le prossime tre ore fino a casa. Preferisco dormire per non fare caso alle innumerevoli volte che rischieremo, come all’andata, di schiantarci frontalmente con un camión, nel corso degli infiniti sorpassi che il guidatore pare non stancarsi mai di fare.
Santa Cruz, 29/04
Martedí mattina
mi sono recato con Demetrio, un collaboratore di Fides che segue il progetto
dell’orto biointensivo, al mercato Abasto, il mercato ortofrutticolo piú grande
di Santa Cruz. Ci siamo incontrati verso le 8 di mattina, per cui, il grosso
del lavoro era giá stato fatto (come tutti i mercati si lavora tra la
mezzanotte e le prime ore del mattino), ma é stata in ogni caso un’esperienza
molto interessante. Il mercato é diviso per zone, in base alla provenienza dei
prodotti, in parte al coperto, in parte all’aria aperta. Camion stracarichi di
merce (a volte incassettata, a volte in sacchi, piú spesso sfusa), vengono
caricati e scaricati completamente a mano, e la merce viene trasportata a
spalla o con l’ausilio di carriole. Ai margini dell’ingrosso si trovano i
venditori al dettaglio, quelli piú organizzati dispongono di un tavolo, la
maggior parte utilizza un telo di plastica posato per terra.
I prodotti non
sono conservati in celle frigorifere, quando va bene sono disponibili dei
magazzini, dove al massimo si conservano due o tre giorni, e tutte le
contrattazioni avvengono direttamente sul posto, piú raramente per telefono.
Giriamo per il
mercato per un’ora circa, masticando canna za zucchero e altri dolci di cui non
ricordo il nome, e ci salutiamo con l’idea di ritrovarci la settimana seguente,
per visitare il mercato di notte, nel pieno dei lavori... chissá se sará
possibile.
Santa Cruz, 29/04
La prima attivitá
vera e propria che abbiamo svolto qui in Fides é stata una riunione di coordinamento
delle attivitá, venerdí pomeriggio. La riunione é stata accompagnata da due
buonissime torte preparate da Maribel (e che saranno la nostra colazione per i
prossimi giorni), e preceduta da un giro di saluti e presentazioni in cui tutti
hanno espresso la loro felicitá per la notra presenza, e la disponibilitá ad
aiutarci per qualsiasi necessitá.
Mi piace questo
modo di fare, non credo siano solo formalitá, mi pare che qui la ospitalitá sia
davvero una cosa importante, d’altra parte “Es ley del Cruzeño la hospidalidad”.
Dopo aver
brevemente organizzato le attivitá per la prossima settimana (ma mi pare di
capire che qui non é facile fare programmi, e quello che si é deciso il giorno
prima, probabilmente il giorno dopo sará giá cambiato), passiamo a organizzare
le attivitá per il fine settimana, dato che Ruth si é offerta da farci da guida
nei prossimi giorni.
Decidiamo di
andare al Parco Ecologico Yvaga Guazu sabato mattina (dato che il piú rinomato
parco Guembe é eccessivamente costoso), e al rio Piray nel pomeriggio. Domenica
si vedrá.
Il parco, anche
se piccolo, é molto ben curato, un’oasi nel mezzo della cittá, e la nostra
guida, Marcelo, si rivela un grande intrattenitore, oltre che un buon amico per
i giorni a venire.
Nel pomeriggio,
con Ruth e suo marito Fran, ci dirigiamo alle cabañas lungo il rio Piray, il
fiume che costeggia la cittá, dove frotte di cruzeñi si riversano nel fine settimana
per mangiare, ballare, bere, non certo per fare il bagno, almeno non in questa
stagione. Il rio Piray infatti si presenta come un fiumiciattolo di acqua
marrone che arriva a malapena alle ginocchia (ma nella stagione delle pioggie
arriva a inondare tutta la zona adiacente).
Viste le
condizioni, spronato da Ruth, mi animo ad attraversarlo, impresa che fará di me
un vero Cruzeño. Dopo l’epica traversata, non ci resta che rinfrancarci con il
sonzo (una specie di puré di yucca e formaggio) e un bicchiere di chicha fresca
(ma questa non é quella alcolica), che é un po’ come bere la polenta...
Nel frattempo abbiamo
deciso cosa fare per l’indomani: andiamo a visitare il parco naturale delle
Lomas de Arena, dune sabbiose nel mezzo della foresta, la cui origine non é
ancora stata spiegata, paradiso per gli uccelli migratori.
Ci accompagna
MiguelAngel, giovane guida locale che sta cercando di creare un’agenzia di
turismo avventura. Non brilla certo per organizzazione, ma in compenso é molto
disponibilie, gentile e simpatico.
Il paesaggio
delle Lomas é davvero straniante, un pezzo di deserto in mezzo al verde della
foresta tropicale con alcune piccole lagune disseminate qua e lá. E poi queste
dune offrono la possibilitá di praticare il sandboard, variante dello
snowboard, ma su sabbia. Le discese, anche se piuttosto brevi, sono molto
divertenti, ma la risalita ti fa rimpiangere di non essere rimasto a casa con l’aria
condizionata accesa.
Torniamo a casa
completamente cotti dal sole, parzialmente ustionati, ma felici per un’esperienza
sicuramente singolare.
24/04
Bene, dopo avervi
raccontato i motivi che mi hanno spinto fino a qui (almeno una parte), passiamo
ai fatti.
Sono partito,
come vi dicevo, il pomeriggio di Martedí 16 aprile, con l’unica certezza che, a
S. Cruz, ci sarebbe stato qualcuno a ricevermi, cosa che giá mi era di grande
conforto.
Ed é stato un
piacere, dopo piú di 24 ore di viaggio, trovare all’uscita dell’aereoporto
Giorgia e Javire con un cartello “Bruno” scritto in colore verde.
Giorgia é una
stutendessa italiana di cooperazione per lo sviluppo, a S. Cruz per un
tirocinio e per raccogliere dati sulle monoculture per la tesi che sta
scrivendo, Javier é un membro della Fondazione Fides, ONG che ci ospiterá in
questi giorni di permanenza in cittá.
La prima belle
notizia é che abbiamo a disposizione addirittura una stanza presso la sede
della fondazione, con bagno, aria condizionata, due letti, insomma tutto il
necessario e anche di piú.
Il fatto poi che
si trovi proprio sopra gli uffici di Fides ci permetterá di essere sempre in
contatto con i collaboratori della fondazione.
28/04
Riprendo il filo
del discorso prima che la memoria cominci a perdere pezzi...
Come vi dicevo,
all’arrivo siamo stati accolti con tutti gli onori, e giá il primo giorno
abbiamo fatto una breve riunione con Ruth, che é la direttrice della fondazione
e che ci ha spiegato un po’ del loro lavoro, i diversi progetti in cui sono
impegnati, e le idee e aspettatibve che hanno sulla collaborazione con noi.
Giorgia porterá
avanti il suo lavoro di ricerca sulle monoculture, in particolare quella della
soia che qui si coltiva su estenzioni impressionanti, mentre a me viene chiesto
di collaborare su un progetto di produzione agricola biointensiva in un piccolo
abitato a un centinaio di km da qui, dove é necessario sviluppare l’aspetto
della commercializzazione di ció che viene prodotto.
L’impressione
iniziale é quella di un’organizzazione piccola ma piena di passione e di
persone con una gran voglia di fare, ci piace. E poi Ruth é una vera forza
della natura... sempre sorridente con una parlantina infinita, trascinante.
I primi giorni sono
trascorsi tranquilli, senza troppo da fare, girando per Santa Cruz che appare
come una grossa cittadina di provincia (in realtá é la cittá piú popolata della
Bolivia), forse per le case basse, forse per l’aria rilassata che si respira
nella piazza centrale, forse per il caldo ed il cielo senza una nuvola che a me
che vengo da un lungo inverno italiano fa tanto pensare al mare. Nel frattempo
ho modo di leggere un po’ di materiale sul progetto, conoscere il presidente
della fondazione, l’ingegner Molina, e gli altri collaboratori di Fides:
Maribel, Georjina, Gina (sono quasi tutte donne, Fides lavora molto anche sulle
discriminazioni di genere).
Presentazione
Santa Cruz, 23/04/13
Oggi è una settimana de quando sono partito,
per cui effettivamente non è nemmeno una settimana che sono qui in Bolivia, ma
sono sei giorni.
Mi stupisce sempre come bastino pochi giorni
di viaggio per entrare in una dimensione temporale e mentale (oltre che
ovviamente spaziale),
totalmente separata da quella che siamo abituati a vivere normalmente.
Questo per dire
che, sebbene si tratti di una settimana solamente che sono qui, una finta
settimana come abbiamo detto, già mi sento totalmente, o quasi, dentro a questa
esperienza, questa esperienza nuova che sto facendo.
Ma prima di tutto
vi spiego qual è l’idea che anima questo viaggio. Perchè ogni viaggio deve
avere una sua anima, no?
La mia, di anima,
mi ha suggerito, sempre più intensamente da diversi mesi a questa parte, di
cercare risposte un po’ più in là di dove mi muovo solitamente, ad alcune
domande che da tempo mi ponevo sull’importanza e la necessità del lavoro che
svolgiamo, come produttori biologici, come agricoltori sociali, come persone
che hanno scelto, per vocazione e non per opportunità, di cercare nuove forme
di vita sostenibili per l’uomo e per il pianeta.
(Poi certo, ci
sono tutte le questioni esistenziali, ma quelle me le tengo per me, e per pochi
intimi...)
E un insieme di
fattori, coincidenze, casualità, indizi, mi hanno spinto da queste parti del
globo, in Bolivia, tanto per cominciare, e poi si vedrà.
Giusto per
presentarmi, mi chiamo Bruno, ho 34 anni, vivo a Bergamo, e lavoro, sempre nei
paraggi di Bergamo, in una cooperativa sociale che produce e vende,
all’ingrosso e al dettaglio, ortaggi biologici, e che attraverso questa
attività, cerca da ormai 25 anni, di attuare progetti di inserimento lavorativo
e sociale di persone “svantaggiate”. Quello dell’agricoltura biologica è un
mondo che mi affascina e mi coinvolge, più o meno direttamente, da diversi
anni, da quando ero all’univeristà, e in qualche modo ho cercato di farlo
diventare elemento importante della mia vita.
Però, e qui sta
il punto, però mi sembra che negli ultimi tempi il discorso sul biologico,
almeno in Europa, si sia un po’ arenato, avvitato su sè stesso, sui temi del
benessere, della salute, dei prezzi, delle truffe... mi chiedo che fine abbia
fatto il senso politico del coltivare biologico, come forma di riacquisizione
de parte dei produttori, e di conseguenza, dei cittadini, del possesso della
terra e dei suoi frutti, nei confronti di un’agroindustria sempre più
onnipotente ed onnipresente.
Ad ogni modo, ho
pensato che forse, da questa parte del mondo, dove ancora c’é chi fa offerte
alla Pachamama, la madre terra, forse c’é qualche speranza di ritrovare il
senso di quello che stiamo facendo.
Suscribirse a:
Entradas (Atom)