martes, 30 de abril de 2013


Santa Cruz, 30/04

Inizio ad amare l’aria che si respira in questa cittá, soprattutto il clima di rilassatezza della piazza centrale, Plaza 24 de septiembre, dove piú di una volta in questi giorni mi sono ritrovato a passeggiare, leggere, o semplicemente sedermi all’ombra degli alberi tropicali che la adornano,  e guardare le persone che passano, pensando che probabilmente nel clima freddo di La Paz, rimpiangeró questi momenti.

Domenica, dopo un tour cultural-gastronomico, ma soprattutto gastronomico, con Ruth e famiglia al completo (marito, tre figli e un cane) con soste ogni ora circa per assaggiare qualche prelibatezza locale,nel mio girovagare solitario del tardo pomeriggio sono perfino andato a teatro (!) a vedere lo spettacolo di una compagnia cilena che parlava della morte di 81 detenuti in seguito a un incendio dovuto alla negligenza delle autoritá penitenziarie. Non ho capito se la compagnia stessa era composta in parte da ex detenuti, o famigliari. Lo spettacolo é stato emozionante, e credo che la mia comprensione dello spagnolo migliori di giorno in giorno.

La mattina di sabato, verso le 7, prendo un taxi verso il puente Urubó, dove ho appuntamento con Daniel, il proprietario della fattoria dove si terrá il corso. Il luogo dell’appuntamento é un viavai di taxi e furgoni, che arrivano e caricano quante piú persone possibili, coordinati da una donna che con fare deciso smista le decine di persone in attesa. Mi chiedo come faró a riconoscere Daniel, quando incrocio una ragazza che si distingue decisamente per l’aspetto: dread, vestitino a fiori, sacco a pelo e melodica (una specie di tastiera con un tubicino per soffiarvi dentro). Incrociamo lo sguardo e subito mi chiede se sono lí anche io per il corso di permacultura: evidentemente non sembro proprio un boliviano... Immediatamente dopo arriva anche Daniel (che ci identifica al volo in mezzo alla ressa) e ci dirigiamo verso il suo furgone. La ragazza é argentina, sono un paio di anni che sta girando per il sud America, ma ora sta pensando di tornare verso casa. Mi faccio ripetere varie volte il suo nome, ma proprio non riesco a capire come si chiami: qualcosa che suona come Ashe...

La proprietá é un poccolo angolo di foresta appena fuori della cittá, Daniel mi spiega che sta facendo dei lavori con l’idea di andarci a vivere stabilmente, non appena sará pronta.

In tutto siamo una dozzina si persone a partecipare al corso: ci sono alcuni membri di un’associazione di volontariato che offre percorsi terapeutici gratutiti e che vuole aprire un centro di aiuto in cui fare agricoltura, alcuni studenti di agraria, un paio di pensionati (un architetto ed un agronomo) che non si sono ancora stancati di imparare, piú altre varie persone piú o meno strane, arrivate da varie parti del mondo. Piú tardi ci raggiungerá anche Marcelo, che é stato il primo ad accennarmi di questo corso e che non potró mai ringraziare abbastanza.

Il nostro maestro, nonché “capitano della nave”, si chiama Tierra, ed é un argentino con una folta barba e una famiglia nomade, composta dalla sua compagna, le figlie, e Giuseppe, una sorta di folletto sempre sorridente che si aggira suonando e dispensando allegria. Il corso durerebbe una decina di giorni, ma io purtroppo parteciperó solo oggi, ma sará sufficiente a farmi un’idea, per lo meno della filisofia che sta alla base della permacultura.

In tutto il giorno, di agricoltura si parlerá ben poco: solo a fine giornata vedremo alcuni progetti realizzati da Tierra e dal suo gruppo di agricoltori viaggianti. Invece tutta la mattina sará dedicata a conoscerci, affiatarci, diventare un gruppo, creare un legame tra le persone: abbracci, risa, sguardi, contatto fisico. Tutto con un sapore tanto hippy, ma, grazie anche alla simpatia di Tierra, cosí vero e coinvolgente da farmi sentire quasi parte di una famiglia. Non so come dire, ma é stata quell’iniezione di fiducia per le persone di cui avevo davvero bisogno in questo momento.

La giornata é intensa, il corso continuerá fino alle 9 di sera, e cosí sará per i giorni a venire, e mi dispiace davvero lasciare gli altri quando me ne vado, abbraccio tutti, con la promessa di restare in contatto... chissá.

Ad ogni modo, i principi della permacultura (sperando di non aver equivocato qualcosa con la mia comprensione ancora limitata dello spagnolo) sono:

  • Cuidado con la tierra
  • Cuidado de la gente
  • Distribucion equitativa de los excedentes
  • Establecer limites al consumo y a la poblacion

E i principi di attitudine:

  • El problema es la solucion
  • Cooperacion, no competencia
  • Trabaje con la neturaleza, no contra de ella
  • Minimize el mantenimiento
  • Trabaje donde cuenta
  • Enseñale a quien quiere saber
  • Utilise toto a su maxima capacitad
  • Maximise las cosechas

 




Santa Cruz, 30/04

Giovedí e venerdí scorsi sono stati giorni abbastanza sedentari: giovedí mattina abbiamo partecipato ad un taller, un seminario, sull’espansione della frontiera agricola in questa regione,  potendo vedere i dati di quello che giá il giorno prima avevamo osservato dal vivo lungo la strada per San Julian: e cioé che la foresta viene costantemente erosa per fare posto alle coltivazioni estensive, soprattutto di soia, mais e girasole.

Ovviamente questo porta anche grossi vantaggi economici, e risponde ad una richiesta sempre maggiore (soprattutto per l’esportazione), ma non é facile nascondere lo sgomento vedendo di quanto continui a ridursi la foresta ogni anno, a favore della produzione agricola.

Conosciamo alcuni professori universitari, e uno di loro ci parla nuovamente di questo corso di permacultura (ce ne aveva giá accennato Marcelo) che si terrá da sabato appena fuori dalla cittá. La cosa comincia a incuriosirmi, anche se non so se potró prendervi parte...

Venerdí abbiamo accompagnato Giorgia in aeroporto, la sua pasantia é finita, e riparte per l’Italia. Il suo bagaglio é lievitato in questi mesi, ed ora é ampiamente al di fuori dei limiti accettati, ma con una lunga contrattazione e diversi occultamenti si riesce a imbarcare tutto ugualmente. Confesso che mi mancherá la mia coinquilina nei giorni a venire.

Di ritorno dall’aeroporto vado con Maribel a una riunione per organizzare una “Bicidomingo”, domenica 12 maggio. L’idea di girare in bici per questa cittá continua a sembrarmi una sfida all’istinto di autoconservazione, eppure a quanto pare ci sono diverse persone (tra cui l’immancabile Marcelo) che credono che un modo diverso di muoversi sia possibile anche qui. Apprezzo la loro fiducia e la loro temerarietá.

All’ingresso degli uffici comunali c’é un piccolo assembramento di persone che protestano (non so per quale motivo); Maribel mi dice che é cosí praticamente ogni giorno.

La riunione é interessante, ma l’impressione é che, a due settimane dall’iniziativa, le cose da fare siano ancora innumerevoli, e le persone un po’ poche; come dice Marcelo, l’importante é che qualcosa si faccia. Se non sará 100, ma solo 50, é comunque meglio di zero.

Quando usciamo dal palazzo, i manifestanti hanno appena ottenuto ció che chiedevano: se ne vanno trionfanti, e noi con loro.

Torno a “casa”, nella stanza che ora non é piú una doppia ma una singola, e decido: domani andró a scoprire cosa é questa famosa permacultura.

lunes, 29 de abril de 2013


Santa Cruz, 29/04
 
Mercoledí finalmente ci siamo avventurati fino al Municipio di San Julian, sede del progetto CEPRODE (Centro de Producion Ecológico), circa tre ore vi viaggio su un trufi scassato, piú un’altra mezzora su uno ancora piú scassato per raggiungere il Nucleo 23, l’abitato (non si sa bene quanta gente ci viva, mi han detto cifre variabili tra le 300 e le 1000 persone) dove si trova fisicamente il centro di produzione biointensiva.

Prima peró ci siamo fermati alla sede dell’alcaldia per parlare con l’assessore allo sviluppo, intervistato da Giorgia, che con una accondiscendenza tutta politichese ci ha spiegato che la produzione di soya si sta espandendo enormemente in questi anni (viaggiando da Santa Cruz a San Julian fa davvero impressione l’estenzione dei campi di soia a perdita d’occhio) e che tutti ne stanno beneficiando; certo sarebbe bello se non fosse transgenica, ma quella convenzionale costa troppo, e certo c’é qualche problema di deforestazione, ma l’amministrazione si sta adoperando per contenerli.

Rinfrancati dalle parole dell’amministratore, siamo andati appunto a visitare l’unico appezzamento di terra in tutto il municipio non coltivato estensivamente, bensí con un progetto di “agricoltura biointensiva”, che prevede piccoli appezzamenti (2000 mq) coltivati in modo tale da bastare al sostentamento di una famiglia, in modo del tutto biologico.

A dire il vero attualmente il terreno é coltivato per lo piú a mais, ma il progetto é appena partito e adesso dovrebbero cominciare le semine di ortaggi.

L’idea di Javier, il responsabile della produzione, é di vendere l’eccedende al mercato di Santa Cruz, ma io provo a comunicargli la mia opinione, che sarebbe molto meno dispendioso e piú redditizio provare a vendere direttamente i prodotti al dettaglio, magari a San Julian. Discutiamo un po’, alla fine non mi pare molto convinto delle mie argomentazioni.

Quello che mi appare piuttosto evidente é che il lavoro da fare sarebbe tantissimo, e mi dispiace di fermarmi qui a Santa Cruz solo qualche giorno...

 
Torniamo verso San Julian con un trufi che é ancora piú malridotto dei precedenti, e completamente ricoperto di polvere, dentro e fuori, come noi del resto; ormai é buio (qui fa buio verso le 18.30), ed é quasi un miracolo trovare una vettura vuota, comoda e con i finestrini che si chiudono, che ci trasporterá per le prossime tre ore fino a casa. Preferisco dormire per non fare caso alle innumerevoli volte che rischieremo, come all’andata, di schiantarci frontalmente con un camión, nel corso degli infiniti sorpassi che il guidatore pare non stancarsi mai di fare.

Santa Cruz, 29/04

Martedí mattina mi sono recato con Demetrio, un collaboratore di Fides che segue il progetto dell’orto biointensivo, al mercato Abasto, il mercato ortofrutticolo piú grande di Santa Cruz. Ci siamo incontrati verso le 8 di mattina, per cui, il grosso del lavoro era giá stato fatto (come tutti i mercati si lavora tra la mezzanotte e le prime ore del mattino), ma é stata in ogni caso un’esperienza molto interessante. Il mercato é diviso per zone, in base alla provenienza dei prodotti, in parte al coperto, in parte all’aria aperta. Camion stracarichi di merce (a volte incassettata, a volte in sacchi, piú spesso sfusa), vengono caricati e scaricati completamente a mano, e la merce viene trasportata a spalla o con l’ausilio di carriole. Ai margini dell’ingrosso si trovano i venditori al dettaglio, quelli piú organizzati dispongono di un tavolo, la maggior parte utilizza un telo di plastica posato per terra.

I prodotti non sono conservati in celle frigorifere, quando va bene sono disponibili dei magazzini, dove al massimo si conservano due o tre giorni, e tutte le contrattazioni avvengono direttamente sul posto, piú raramente per telefono.

Giriamo per il mercato per un’ora circa, masticando canna za zucchero e altri dolci di cui non ricordo il nome, e ci salutiamo con l’idea di ritrovarci la settimana seguente, per visitare il mercato di notte, nel pieno dei lavori... chissá se sará possibile.



Santa Cruz, 29/04

La prima attivitá vera e propria che abbiamo svolto qui in Fides é stata una riunione di coordinamento delle attivitá, venerdí pomeriggio. La riunione é stata accompagnata da due buonissime torte preparate da Maribel (e che saranno la nostra colazione per i prossimi giorni), e preceduta da un giro di saluti e presentazioni in cui tutti hanno espresso la loro felicitá per la notra presenza, e la disponibilitá ad aiutarci per qualsiasi necessitá.

Mi piace questo modo di fare, non credo siano solo formalitá, mi pare che qui la ospitalitá sia davvero una cosa importante, d’altra parte “Es ley del Cruzeño la hospidalidad”.

Dopo aver brevemente organizzato le attivitá per la prossima settimana (ma mi pare di capire che qui non é facile fare programmi, e quello che si é deciso il giorno prima, probabilmente il giorno dopo sará giá cambiato), passiamo a organizzare le attivitá per il fine settimana, dato che Ruth si é offerta da farci da guida nei prossimi giorni.

Decidiamo di andare al Parco Ecologico Yvaga Guazu sabato mattina (dato che il piú rinomato parco Guembe é eccessivamente costoso), e al rio Piray nel pomeriggio. Domenica si vedrá.

Il parco, anche se piccolo, é molto ben curato, un’oasi nel mezzo della cittá, e la nostra guida, Marcelo, si rivela un grande intrattenitore, oltre che un buon amico per i giorni a venire.

Nel pomeriggio, con Ruth e suo marito Fran, ci dirigiamo alle cabañas lungo il rio Piray, il fiume che costeggia la cittá, dove frotte di cruzeñi si riversano nel fine settimana per mangiare, ballare, bere, non certo per fare il bagno, almeno non in questa stagione. Il rio Piray infatti si presenta come un fiumiciattolo di acqua marrone che arriva a malapena alle ginocchia (ma nella stagione delle pioggie arriva a inondare tutta la zona adiacente).

Viste le condizioni, spronato da Ruth, mi animo ad attraversarlo, impresa che fará di me un vero Cruzeño. Dopo l’epica traversata, non ci resta che rinfrancarci con il sonzo (una specie di puré di yucca e formaggio) e un bicchiere di chicha fresca (ma questa non é quella alcolica), che é un po’ come bere la polenta...

Nel frattempo abbiamo deciso cosa fare per l’indomani: andiamo a visitare il parco naturale delle Lomas de Arena, dune sabbiose nel mezzo della foresta, la cui origine non é ancora stata spiegata, paradiso per gli uccelli migratori.

Ci accompagna MiguelAngel, giovane guida locale che sta cercando di creare un’agenzia di turismo avventura. Non brilla certo per organizzazione, ma in compenso é molto disponibilie, gentile e simpatico.

Il paesaggio delle Lomas é davvero straniante, un pezzo di deserto in mezzo al verde della foresta tropicale con alcune piccole lagune disseminate qua e lá. E poi queste dune offrono la possibilitá di praticare il sandboard, variante dello snowboard, ma su sabbia. Le discese, anche se piuttosto brevi, sono molto divertenti, ma la risalita ti fa rimpiangere di non essere rimasto a casa con l’aria condizionata accesa.

Torniamo a casa completamente cotti dal sole, parzialmente ustionati, ma felici per un’esperienza sicuramente singolare.




24/04

Bene, dopo avervi raccontato i motivi che mi hanno spinto fino a qui (almeno una parte), passiamo ai fatti.

Sono partito, come vi dicevo, il pomeriggio di Martedí 16 aprile, con l’unica certezza che, a S. Cruz, ci sarebbe stato qualcuno a ricevermi, cosa che giá mi era di grande conforto.

Ed é stato un piacere, dopo piú di 24 ore di viaggio, trovare all’uscita dell’aereoporto Giorgia e Javire con un cartello “Bruno” scritto in colore verde.

Giorgia é una stutendessa italiana di cooperazione per lo sviluppo, a S. Cruz per un tirocinio e per raccogliere dati sulle monoculture per la tesi che sta scrivendo, Javier é un membro della Fondazione Fides, ONG che ci ospiterá in questi giorni di permanenza in cittá.

La prima belle notizia é che abbiamo a disposizione addirittura una stanza presso la sede della fondazione, con bagno, aria condizionata, due letti, insomma tutto il necessario e anche di piú.

Il fatto poi che si trovi proprio sopra gli uffici di Fides ci permetterá di essere sempre in contatto con i collaboratori della fondazione.

28/04

Riprendo il filo del discorso prima che la memoria cominci a perdere pezzi...

Come vi dicevo, all’arrivo siamo stati accolti con tutti gli onori, e giá il primo giorno abbiamo fatto una breve riunione con Ruth, che é la direttrice della fondazione e che ci ha spiegato un po’ del loro lavoro, i diversi progetti in cui sono impegnati, e le idee e aspettatibve che hanno sulla collaborazione con noi.

Giorgia porterá avanti il suo lavoro di ricerca sulle monoculture, in particolare quella della soia che qui si coltiva su estenzioni impressionanti, mentre a me viene chiesto di collaborare su un progetto di produzione agricola biointensiva in un piccolo abitato a un centinaio di km da qui, dove é necessario sviluppare l’aspetto della commercializzazione di ció che viene prodotto.

L’impressione iniziale é quella di un’organizzazione piccola ma piena di passione e di persone con una gran voglia di fare, ci piace. E poi Ruth é una vera forza della natura... sempre sorridente con una parlantina infinita, trascinante.

I primi giorni sono trascorsi tranquilli, senza troppo da fare, girando per Santa Cruz che appare come una grossa cittadina di provincia (in realtá é la cittá piú popolata della Bolivia), forse per le case basse, forse per l’aria rilassata che si respira nella piazza centrale, forse per il caldo ed il cielo senza una nuvola che a me che vengo da un lungo inverno italiano fa tanto pensare al mare. Nel frattempo ho modo di leggere un po’ di materiale sul progetto, conoscere il presidente della fondazione, l’ingegner Molina, e gli altri collaboratori di Fides: Maribel, Georjina, Gina (sono quasi tutte donne, Fides lavora molto anche sulle discriminazioni di genere).

Presentazione


Santa Cruz, 23/04/13

Oggi è una settimana de quando sono partito, per cui effettivamente non è nemmeno una settimana che sono qui in Bolivia, ma sono sei giorni.

Mi stupisce sempre come bastino pochi giorni di viaggio per entrare in una dimensione temporale e mentale (oltre che ovviamente spaziale), totalmente separata da quella che siamo abituati a vivere normalmente.

Questo per dire che, sebbene si tratti di una settimana solamente che sono qui, una finta settimana come abbiamo detto, già mi sento totalmente, o quasi, dentro a questa esperienza, questa esperienza nuova che sto facendo.

Ma prima di tutto vi spiego qual è l’idea che anima questo viaggio. Perchè ogni viaggio deve avere una sua anima, no?

La mia, di anima, mi ha suggerito, sempre più intensamente da diversi mesi a questa parte, di cercare risposte un po’ più in là di dove mi muovo solitamente, ad alcune domande che da tempo mi ponevo sull’importanza e la necessità del lavoro che svolgiamo, come produttori biologici, come agricoltori sociali, come persone che hanno scelto, per vocazione e non per opportunità, di cercare nuove forme di vita sostenibili per l’uomo e per il pianeta.

(Poi certo, ci sono tutte le questioni esistenziali, ma quelle me le tengo per me, e per pochi intimi...)

E un insieme di fattori, coincidenze, casualità, indizi, mi hanno spinto da queste parti del globo, in Bolivia, tanto per cominciare, e poi si vedrà.

Giusto per presentarmi, mi chiamo Bruno, ho 34 anni, vivo a Bergamo, e lavoro, sempre nei paraggi di Bergamo, in una cooperativa sociale che produce e vende, all’ingrosso e al dettaglio, ortaggi biologici, e che attraverso questa attività, cerca da ormai 25 anni, di attuare progetti di inserimento lavorativo e sociale di persone “svantaggiate”. Quello dell’agricoltura biologica è un mondo che mi affascina e mi coinvolge, più o meno direttamente, da diversi anni, da quando ero all’univeristà, e in qualche modo ho cercato di farlo diventare elemento importante della mia vita.

Però, e qui sta il punto, però mi sembra che negli ultimi tempi il discorso sul biologico, almeno in Europa, si sia un po’ arenato, avvitato su sè stesso, sui temi del benessere, della salute, dei prezzi, delle truffe... mi chiedo che fine abbia fatto il senso politico del coltivare biologico, come forma di riacquisizione de parte dei produttori, e di conseguenza, dei cittadini, del possesso della terra e dei suoi frutti, nei confronti di un’agroindustria sempre più onnipotente ed onnipresente.

Ad ogni modo, ho pensato che forse, da questa parte del mondo, dove ancora c’é chi fa offerte alla Pachamama, la madre terra, forse c’é qualche speranza di ritrovare il senso di quello che stiamo facendo.