Santa Cruz, 23/04/13
Oggi è una settimana de quando sono partito,
per cui effettivamente non è nemmeno una settimana che sono qui in Bolivia, ma
sono sei giorni.
Mi stupisce sempre come bastino pochi giorni
di viaggio per entrare in una dimensione temporale e mentale (oltre che
ovviamente spaziale),
totalmente separata da quella che siamo abituati a vivere normalmente.
Questo per dire
che, sebbene si tratti di una settimana solamente che sono qui, una finta
settimana come abbiamo detto, già mi sento totalmente, o quasi, dentro a questa
esperienza, questa esperienza nuova che sto facendo.
Ma prima di tutto
vi spiego qual è l’idea che anima questo viaggio. Perchè ogni viaggio deve
avere una sua anima, no?
La mia, di anima,
mi ha suggerito, sempre più intensamente da diversi mesi a questa parte, di
cercare risposte un po’ più in là di dove mi muovo solitamente, ad alcune
domande che da tempo mi ponevo sull’importanza e la necessità del lavoro che
svolgiamo, come produttori biologici, come agricoltori sociali, come persone
che hanno scelto, per vocazione e non per opportunità, di cercare nuove forme
di vita sostenibili per l’uomo e per il pianeta.
(Poi certo, ci
sono tutte le questioni esistenziali, ma quelle me le tengo per me, e per pochi
intimi...)
E un insieme di
fattori, coincidenze, casualità, indizi, mi hanno spinto da queste parti del
globo, in Bolivia, tanto per cominciare, e poi si vedrà.
Giusto per
presentarmi, mi chiamo Bruno, ho 34 anni, vivo a Bergamo, e lavoro, sempre nei
paraggi di Bergamo, in una cooperativa sociale che produce e vende,
all’ingrosso e al dettaglio, ortaggi biologici, e che attraverso questa
attività, cerca da ormai 25 anni, di attuare progetti di inserimento lavorativo
e sociale di persone “svantaggiate”. Quello dell’agricoltura biologica è un
mondo che mi affascina e mi coinvolge, più o meno direttamente, da diversi
anni, da quando ero all’univeristà, e in qualche modo ho cercato di farlo
diventare elemento importante della mia vita.
Però, e qui sta
il punto, però mi sembra che negli ultimi tempi il discorso sul biologico,
almeno in Europa, si sia un po’ arenato, avvitato su sè stesso, sui temi del
benessere, della salute, dei prezzi, delle truffe... mi chiedo che fine abbia
fatto il senso politico del coltivare biologico, come forma di riacquisizione
de parte dei produttori, e di conseguenza, dei cittadini, del possesso della
terra e dei suoi frutti, nei confronti di un’agroindustria sempre più
onnipotente ed onnipresente.
Ad ogni modo, ho
pensato che forse, da questa parte del mondo, dove ancora c’é chi fa offerte
alla Pachamama, la madre terra, forse c’é qualche speranza di ritrovare il
senso di quello che stiamo facendo.