Un giorno bloccato nella cittadina di Tupiza, quasi al confine con l'Argentina, può essere una buona occasione per riprendere un po' il filo del discorso, e dei pensieri...
Tupiza viene descritta un po' come il "far west boliviano" (cito dalla Lonely), vuoi per la storia di Butch Cassidy e Sundance Kid, che qui furono uccisi in una sparatoria con le forze dell'ordine, vuoi per i paesaggi fatti di canyons, quebradas, rocce rosse e cactus, che davvero fanno pensare di essere scesi alla stazione sbagliata, di avere casualmente passato il confine con un mondo immaginario uscito da una pellicola.
E poi qui ci si arriva col treno, quel treno che ho preso a Oruro, per fermarmi prima a Uyuni, per fare il giro del Salar, e che ho ripreso nella notte di venerdì per arrivare qui intorno alle tre del mattino...
È stata un'emozione partire dalla stazione sulle note di "Serà porque te amo", cantata in spagnolo dai Ricchi e Poveri in un video d'antan trasmesso nel vagone. Perchè i treni boliviani non sono mica male, c'è il vagone ristorante, un addetto che passa in continuazione con pollo fritto, birre e bibite, c'è il riscaldamento (anche se dai finestrini entra un'aria gelida anche quando sono chiusi), e le stazioni sono pulite e silenziose a differenza dei terminal degli autobus. E poi a me è sempre piaciuto viaggiare in treno, più che qualsiasi altro mezzo.
Peccato che in tutto il paese esistano solo due linee ferroviarie: una è questa che da Oruro va a Villazon e al confine con l'Argentina, e l'altra che da Santa Cruz si dirige verso il Brasile.
Ovviamente, trattandosi del far west, non ho potuto esimermi dal tour a cavallo che propongono tutte le agenzie del posto. Sette ore su una bestia il cui unico interesse era fermarsi a mangiare per poi ripartire al trotto e raggiungere il resto del gruppo per litigare con gli altri cavalli, in particolare con uno montato da una ragazza francese (che a un certo punto mi ha anche detto che il mio cavallo le faceva paura, povera...), mostrandosi del tutto indifferente ai miei ordini.
In realtà la bestia, un maschio di nome Troia (con mio grande divertimento), tutto era fuorchè un focoso purosangue: ovviamente non avendo io nessuna esperienza di equitazione (la mia unica volta a cavallo risale a una quindicina di anni fa...) mi hanno dato il ronzino più fiacco e lento di tutto il maneggio, con l'unica particolarità di essere particolarmente rissoso, come mi ha spiegato (poi, non prima, ovviamente...) la guida. In più di un'occasione ha cercato di mordere (non pensavo che i cavalli mordessero, però a me è parso proprio così) l'altro incolpevole cavallo, oppure di mandarlo fuori strada a spintoni, in particolare quando questi cercava di superarlo.
Solo in un punto si è messo a galoppare, ovviamente senza che io lo volessi: però devo dire che è stato il momento più bello di tutta la giornata. Per il resto un gran dolore di culo e di schiena, che persiste tutt'ora, però paesaggi incantevoli.
Insomma, come vi dicevo, bloccato qui perchè ieri tutti i bus per Tarija, la prossima destinazione, erano pieni, e io, pensando di aver capito tutto del sistema di trasporti boliviano, volevo prendere il biglietto all'ultimo momento per risparmiare qualche peso, non considerando il fatto che qui sono iniziate le vacanze, e tutti sono in viaggio.
In realtà l'albergo dove sono non è niente male; anzi è di gran lunga il migliore che abbia incontrato fino ad ora. Non è troppo freddo, è pulito, ha la piscina e la prima colazione, il tutto per 10 boliviani (1 euro circa) più della media (della mia media, che è piuttosto bassa). Insomma, non mi dispiace fermarmi qui, a parte il fatto che dopo aver camminato il primo giorno, essere andato a cavallo il secondo, non c'è più niente da fare.
P.s. certo poi alcuni inconvenienti capitano anche in questo albergo: mi hanno appena riconsegnato i vestiti che avevo lasciato da lavare. Perfettamente piegati. Però sporchi come prima.
Biobolivia
lunes, 1 de julio de 2013
viernes, 28 de junio de 2013
Uyuni, 28/06/2013
Pare che gli unici momenti in cui riesco a scrivere siano quando aspetto un treno... questo mi porterá a Tupiza, sud della Bolivia, quasi al confine con l'Argentina.
Sono reduce dal tour del Salar de Uyuni, la distesa di sale piú grande del mondo. Bello. Tre giorni persi per paesaggi irreali, in un bianco accecante, tra rocce dalle forme fantastiche e lagune colorate piene di fenicotteri rosa, alloggiando in alberghi che definire spartani sarebbe davvero eufemistico, e fortunatemente con un bel gruppo di compagni di viaggio.
Un tour estremamente turistico, eppure estremamente selvaggio e "avventuroso", grazie anche alla perenne disorganizzazione dei boliviani, che in realtá inizio a credere sia una scelta di vita consapevole, o comunque consapevolmente accettata.
Qualcuno, non ricordo chi, ha descritto la Bolivia come il paese dove tutto é possibile, ma niente é probabile.
Intanto è successo che, mentre aspettavo il mio turno per fare la doccia (pare che per i miei compagni fosse la priorità appena tornati a Uyuni, per cui anche io mi sono adattato...) è saltata la corrente elettrica nel quartiere (sucede quasi tutti i giorni, a Uyuni): niente acqua calda e niente doccia. Sentra troppo rammarico ho rimandato l'incombenza a domani.
E ora vado a prendere il treno, vediamo cosa potrá succedere questa notte...
Sono reduce dal tour del Salar de Uyuni, la distesa di sale piú grande del mondo. Bello. Tre giorni persi per paesaggi irreali, in un bianco accecante, tra rocce dalle forme fantastiche e lagune colorate piene di fenicotteri rosa, alloggiando in alberghi che definire spartani sarebbe davvero eufemistico, e fortunatemente con un bel gruppo di compagni di viaggio.
Un tour estremamente turistico, eppure estremamente selvaggio e "avventuroso", grazie anche alla perenne disorganizzazione dei boliviani, che in realtá inizio a credere sia una scelta di vita consapevole, o comunque consapevolmente accettata.
Qualcuno, non ricordo chi, ha descritto la Bolivia come il paese dove tutto é possibile, ma niente é probabile.
Intanto è successo che, mentre aspettavo il mio turno per fare la doccia (pare che per i miei compagni fosse la priorità appena tornati a Uyuni, per cui anche io mi sono adattato...) è saltata la corrente elettrica nel quartiere (sucede quasi tutti i giorni, a Uyuni): niente acqua calda e niente doccia. Sentra troppo rammarico ho rimandato l'incombenza a domani.
E ora vado a prendere il treno, vediamo cosa potrá succedere questa notte...
martes, 25 de junio de 2013
Non è facile riprendere il filo, così come non è facile lasciare La Paz dove in questo tempo ho finito col sentirmi quasi "a casa"...
Quanto è passato dall'ultimo post? un mese? Sì, più o meno.
E in un mese di cose ne possono succedere davvero tante.
Spero di riuscire a ricordarle e raccontarle tutte, o almeno le più interessanti.
Ho deciso di farlo un poco per volta, raccogliendo le idee e riordinandole un po', perchè adesso, in questo momento, mi sembra di dover raccontare una vita intera. Ma forse è solo la mia pigrizia, e il fatto che mi sono disabituato a scrivere (è strano come, in poco tempo, quella di scrivere fosse diventata un'abitudine quasi quotidiana, e come, in altrettanto poco tempo, questa abitudine l'abbia persa di nuovo).
Mi sono convinto che questo sia dovuto al fatto che, in un certo senso, a La Paz avevo ricostruito un piccolo mondo per certi versi simile a quello in cui vivo, fatto di amicizie, serate, lavoro, impegni che in qualche modo ti riempiono la vita, ma ti tolgono anche il tempo di pensare, di riflettere, nel bene e nel male, di prenderti quello spazio totalmente intimo e personale che ti dà la solitudine.
Farò una sorta di riassunto a puntate degli episodi che mi sono perso per strada, però non ora, che devo prendere un treno per Uyuni, da cui inizierò il tour del famoso Salar, una delle esperienze più classiche e turistiche della Bolivia, però ugualmente imperdibile.
In questo momento sono a Oruro: Oruro possiede una delle poche stazioni ferroviarie di tutta la nazione.
Dalla stazione di Oruro partono 5 treni passeggeri.
5 treni alla settimana.
Il mio parte tra mezz'ora, non è il caso di perderlo...
Quanto è passato dall'ultimo post? un mese? Sì, più o meno.
E in un mese di cose ne possono succedere davvero tante.
Spero di riuscire a ricordarle e raccontarle tutte, o almeno le più interessanti.
Ho deciso di farlo un poco per volta, raccogliendo le idee e riordinandole un po', perchè adesso, in questo momento, mi sembra di dover raccontare una vita intera. Ma forse è solo la mia pigrizia, e il fatto che mi sono disabituato a scrivere (è strano come, in poco tempo, quella di scrivere fosse diventata un'abitudine quasi quotidiana, e come, in altrettanto poco tempo, questa abitudine l'abbia persa di nuovo).
Mi sono convinto che questo sia dovuto al fatto che, in un certo senso, a La Paz avevo ricostruito un piccolo mondo per certi versi simile a quello in cui vivo, fatto di amicizie, serate, lavoro, impegni che in qualche modo ti riempiono la vita, ma ti tolgono anche il tempo di pensare, di riflettere, nel bene e nel male, di prenderti quello spazio totalmente intimo e personale che ti dà la solitudine.
Farò una sorta di riassunto a puntate degli episodi che mi sono perso per strada, però non ora, che devo prendere un treno per Uyuni, da cui inizierò il tour del famoso Salar, una delle esperienze più classiche e turistiche della Bolivia, però ugualmente imperdibile.
In questo momento sono a Oruro: Oruro possiede una delle poche stazioni ferroviarie di tutta la nazione.
Dalla stazione di Oruro partono 5 treni passeggeri.
5 treni alla settimana.
Il mio parte tra mezz'ora, non è il caso di perderlo...
jueves, 23 de mayo de 2013
La Paz, 22/05
Ho deciso di
fermarmi un mese a La Paz
perchè, come già ho scritto all’inizio di questo blog, il mio vuole essere
anche un viaggio di conoscenza, di scoperta di esperienze che in qualche modo
abbiano a che fare con il mondo dell’agricoltura biologica e del sociale, e qui
ho trovato alcune esperienze che mi interessano e che voglio approfondire.
Una di queste è
AOPEB, che conoscevo già da tempo a con cui ci sono dei contatti istituzionali
attraverso di AIAB, l’altra, che invece ho scoperto qui, è Qalauma.
Sono tornato a
Qalauma altre due volte, dopo la prima, ed ogni volta è stata un’esperienza
importante.
La seconda volta
(con Roberto, responsabile del Mlal, e Eleonora, volontaria) siamo capitati in occasione di un taller,
un laboratorio, di arteterapia sul tema dell’intelligenza emozionale. In
pratica sul conoscere ed esprimere le proprie emozioni. Al taller partecipavano
gli educatori del centro, una decina, e una quindicina di ragazzi, scelti,
credo tra quelli che maggiormente stanno seguendo un percorso positivo.
La mattina stessa
c’erano stati alcuni problemi tra i ragazzi e le guardie, con qualche contatto
fisico di troppo, per cui i ragazzi dell’ala prncipale erano chiusi nella loro
sezione, e il clima era piuttosto teso. Per questo motivo al taller hanno
potuto partecipare solo ragazzi della acogida, l’accoglienza, l’ala in cui i
nuovi arrivati passano tre mesi per iniziare a integrarsi e per essere valutati
dagli educatori.
Il taller era
gestito da tre ragazzi spagnoli (una di origine boliviana) che stanno portando
la loro esperienza in giro per il paese presso scuole, comunità, con ragazzi e
adulti. Premetto che io mi sento sempre piuttosto in difficoltà quando si
tratta di esprimere emozioni, mostrare il proprio lato creativo, empatizzare
con le persone. Ma ne è valsa la pena di fare lo sforzo, per vedere questi
ragazzi, che per convinzione o per necessità si presentano come dei teppisti,
dei duri, mostrare i propri sentimeni, raccontare i propri sogni, le proprie
storie (sempre segnate da abbandono, violenza, marginalità), ridere e piangere,
e alla fine salutarsi con un po’ di magone, pensando che in fondo, dopo una
giornata così, per loro ricomincia la solita routine del carcere, e chissà se
rimarrà qualcosa delle emozioni provate oggi, o se la maschera tornerà a
stamparsi sulla faccia, unica difesa nella lotta quotidiana contro il mondo.
(E in realtà,
sebbene in modo diverso, credo che in fondo, questi momenti facciano bene un
po’ anche a me.)
Alla fine, prima
di tornare alla sezione, i ragazzi si affollano intorno a Gloria, una delle
educatrici spagnole, decisamente carina, reclamando baci e abbracci. Anche
quando ce ne andiamo, i saluti dalle finestre sono tutti per lei.
Sono tornato
nuovamente a Qalauma per parlare con gli educatori e i responsabili, in merito
alla possibilità di ampliare le possibilità commerciali di ciò che viene
prodotto all’interno del centro; sarebbe una boccata d’ossigeno per la sopravvivenza
dei laboratori e del centro stesso.
Abbiamo
nuovamente visitato tutti i laboratori, con più calma stavolta, parlando un po’
con i ragazzi e con gli educatori. Una delle prime idee è di partecipare a
qualche fiera, tra cui la
Biobolivia, per iniziare a fare conoscere un po’ il centro e
i suoi progetti.
La mia giacca
quecha riscuote molti apprezzamenti tra i ragazzi di Qalauma, tutti cercano di
barattarla con qualsiasi cosa, ma non sono molto dell’idea di cederla... alla
fine la lascio per tutta la mattina al laboratorio di cucito, dove prenderanno
le misure per replicarla autonomamente. Fa niente patire un po’ di freddo, la
lascio volentieri. Ma sono anche felice di rimettermela addosso dopo pranzo:
qui sull’altpiano il freddo si sente, più che in città.
Mi colpisce
particolarmente un ragazzo, abbigliamento punk, orecchino al naso, sguardo
franco, intelligente, e buono. Si chiama Krudo, in rete si trovano un video e
un blog che chiedono la sua liberazione (http://krudoalakalle.noblogs.org/
; http://www.youtube.com/watch?v=cToddtPacCY
): è un attivista anarchico, accusato di terrorismo, rischia fino a 20 anni di
carcere per avere, forse, incendiato qualche bancomat... Prima di salutarci mi
ragala una toppa dei Discharge, fatta da lui, nel laboratorio di serigrafia.
Que te vaya bien,
Krudo...
La Paz, 18/05
Tutto questo
succedeva una decina di giorni fa, da allora sono successe parecchie cose:
altre visite a Qalauma, viaggi sul campo con Aopeb, weekend e serate con i
nuovi amici italiani, spagnoli, francesi, tedeschi... mi dispiace solo, fino ad
ora, di non aver stretto rapporti anche con un po’ di paceñi, che sembrano un
po’ meno espansivi degli abitanti dell’est, proprio come mi avevano detto.
Sono un po’
combattuto in questi giorni , lo ammetto, tra il desiderio di fare il
viaggiatore, e la volontá di lavorare e
conoscere un po’ più da vicino il mondo boliviano, soprattutto quello
produttivo, e l’esperienza di Qalauma; vittima delle mia perenne indecisione,
sto cercando al momento mi pare con un discreto successo, di mantenere un
equilibrio tra le due cose.
Il giorno
successivo alla visita a Qalauma, ho incontrato Aurelio, altro operatore
storico del Mlal (Movimento laici per l’America Latina) come Riccardo, e con
lui abbiamo parlatodegli altri progetti del Movimento, come quello per il
miglioramento della Vigogna, che vive in stato di liertà sull’altipiano di Apolobamba
dove, periodicamente, tutti gli abitanti partecipano alla cattura e tosatura
degli animali (per permettere al pelo di ricrescere sufficientemente, un
esemplare può essere tosato solo ogni due anni). Aurelio, sua moglie Anna, così
come Riccardo, dimostrano una conoscenza e una comprensione della complessa e
per me ancora sconosciuta realtà boliviana; verrebbe voglia di ascoltarli
parlare all’infinito.
Nell’ufficio del
Mlal ho conosciuto anche Damiano e Andrè, due volontari italiani, e attraverso
loro, Marianna, Alice, Laura, Dani, Gori, e poi Stefano, Michele, Javi, Klara;
ma ci sono anche Maya, Verena, Anja e altri ancora. Il mondo dei volontari e
cooperanti italiani ed europei è un microcosmo in perenne fermento (pare che
negli anni passati fosse anche più grande), una volta trovato l’ingresso, ed è
bello orbitavi attorno. (Ammetto che a volte ho l’impressione di trovarmi in
un Erasmus fuori tempo massimo... ma va bene così).
È con loro che lo
scorso weekend siamo stati sul Lago Titicaca, alla Isla del Sol, due giorni di
riposo totale (e di grandi bevute di birra) lontano dal caos di La Paz, circondati da una distesa
d’acqua che a volte sembra un mare, se non fosse per la presenza delle vette
imbiancate della Cordillera Real, che ci ricordano di essere a quasi 4000
metri. Confesso di non avere percepito molto la magia delle civiltà preincaiche
con i loro misteri, ma l’atmosfera dell’isola, l’assenza di automobili e di
qualsiasi mezzo a motore, il tramonto ammirato dalle antiche rovine, la via
lattea così luminosa, così viva, tutto contribuisce a farti sentire in un posto
unico e speciale.
jueves, 16 de mayo de 2013
La Paz 13/05
Scusate, sono
rimasto un po’ indietro con gli aggiornamenti, è già una settimana che non
scrivo, e devo un po’ riprendere il filo.
È stata una
settimana strana, questa vissuta a La Paz.
Calma e intensa contemporaneamente.
Prima di tutto
però vi descrivo un po’ come è la città, anche se ancora non posso dire di
averla girata per bene, anche perchè girare a piedi per La Paz, è molto più impegnativo
che girare per qualsiasi altra città che abbia mai visto. I continui
saliscendi, le strade sconnesse (almeno quella che da casa mia va verso il
centro), e l’aria che manca per l’altitudine complicano un po’ l’esplorazione.
C’è anche lil fatto che qui sto lavorando in una oficina, un ufficio vero, per
cui il tempo libero è limitato rispetto a quello che avevo nelle scorse
settimane.
Ad ogni modo,
questa città mi sta affascinando giorno per giorno, riserva una sorpresa ad
ogni angolo. Non mi ricordo dove ho letto che La Paz è una città senza orizzonte, così chiusa,
quasi precipitata in una valle, ma che in compenso agli abitanti si presenta uno
scenario nuovo ad ogni incrocio; ed è vero, il paesaggio qui cambia
continuamente, perchè le vie strette cinte da case non permettono di vedere che
una piccola parte della città, ogni volta differente. E quando tra le facciate
dei palazzi appare imporvvisamente uno scorcio dell’Illimani o di qualche altra
vetta della Cordillera Real, si rimane senza fiato, non solo per l’altitudine.
La Paz, come mi dicevano alcuni ragazzi in un ristorante
vegetariano dal sapore molto hippy, è piena di tesori nascosti. Subito dopo mi
hanno invitato a una serata dal titolo ¨carnivori anonimi¨ in cui la gente racconta
come ha smesso di mangiare carne... non ci sono andato perchè avevo già
un’altra cena, magari settimana prossima.
Proprio oggi,
dopo essere stato all’ufficio della migracion
(un agente non ha ritenuto valida la mia fotocopia del passaporto...)
approfittando del fatto di essere fuori ufficio ho girato per quello che è il
centro storico di La Paz. Un’oasi
di tranquilità isolata dal caos delle strade circostanti dove le auto e gli
autobus appestano l’aria con scarichi da ciminiere, con stradine strette,
acciottolate, case colorate, vecchietti seduti sulle panchine (e negozietti di
artigianato, ovviamente), che si articola attorno a Plaza Murillio.
La pace era
probabilmente in parte dovuta anche al fatto che il centro fosse completamente
recintato dalla polizia, dato che era in corso una maniestazione di insegnanti;
noi ovviamente, in quanto turisti, siamo potuti passare attraverso lo
sbarramento. In realtà qui in Bolivia, ma in particolare a La Paz, le manifestazioni sono
all’ordine del giorno; penso che da quando sono qui non ci sia ancora stato un
giorno senza un corteo. Anzi, poco dopo, tornando verso il mio quartiere, mi
sono imbattuto in un altro corteo, pieno di cholitas
(le donne in abiti tradizionali, con gonne, lunghe trecce nere e bomboetta
in testa). Non so per cosa manifestassero, ma era una bella immagine.
La Paz, 14/05
Come vi scrivevo,
la mi a vita a La Paz,
in questa prima settimana, è stata calma
ma piena allo stesso tempo.
Sono arrivato
lunedì mattina, verso le sette, accolto dal freddo pungente della città che si
stava risvegliando, e nella stazione semideserta c’eravamo quasi solo noi, i
viaggiatori con lo zaino in spalla; tutti i boliviani scesi dalle decine di
flotas appena arrivate si erano già dispersi per le vie tortuose del quartiere
di San Pedro.
Il tempo di bere
un mate de coca, per iniziare ad adeguarmi alle usanze loali, e anche per
evitare di patire subito l’altitudine, che giunge tempestiva la telefonata di
Giovanni, uno dei membri di AOPEB, l’associazione con la quale collaborerò nei
prossimi giorni. Si offre di venirmi a prendere e portarmi direttamente alla
sede dell’associazione, ed io accetto più che volentieri. In realtà nel tempo
passato prima del suo arrivo avrei potuto prendere una decina di taxi, ma fa
piacere appena arrivato fare due chiacchiere con qualcuno, e fa anche piacere
il giro di presentazioni di tutto il personale di AOPEB, che Giovanni mi fa
fare appena scaricato lo zaino: non riuscirò a ricordare nessun nome, come al
solito, sebbene mentalmente cerchi di
memorizzarli uno a uno, ma avrò tempo di impararli nei giorni a venire.
Scopro che Anja,
la ragazza tedesca che mi ospiterà in questi prini giorni, lavora fino alle
sei, sicchè non mi resta che prendere posto alla (micro)scrivania che mi hanno
dato e iniziare a leggere un po’ di materiale sui progetti dell’associazione.
Qui sono tutti impegnatissimi per l’organizzazione della fiera Biobolivia (eh
sì, ammetto di avere copiato...) che si terrà il 17, 18, 19 di maggio, e
nessuno ha molto tempo da dedicarmi.
Sarà un lunedì
molto lungo, tra l’attesa di poter scaricare le mie cose nella nuova stanza, e
il sonno accumulato nel viaggio.
In compenso Anja
è una padrona di casa stupenda (dato che la casa è grande ospita persone,
couchsurfers e pseudovolontari disgraziati come me, senza chiedere niente in
cambio) la stanza è bellissima, come
tutta la casa, e quando mi sistemo, ormai è il tramonto, dalla finestra si vede
l’Illimani tinto di rosa che domina tutta la città. Sufficiente per farmi
innamorare di La Paz.
La Paz, 15/05
I giorni seguenti
sono stati segnati da due eventi in partcolare: il primo è stato l’incontro con
Riccardo Giavarini, cooperante in Bolivia da ormai 37 anni, il secondo con un
gruppo di italiani (tra volontari, cooperanti, viaggiatori) che mi ha fatto
apprezzare anche il lato più festaiolo di La Paz.
Con Riccardo ci
eravamo sentiti, casualmente, il giorno prima della mia partenza: aveva
chiamato in cooperativa (quando scrivo cooperativa intendo in Aretè, dove
lavoro) per conoscere la nostra realtà, dicendo che stava facendo un lavoro di
riabilitazione con un carcere minorile, casualmente a La Paz. Casualmente,
il giorno in cui ha chiamato, ero passato in cooperativa per salutare i
colleghi prima della partenza, e appena saputo di questa chiamata mi sono fatto
dare il suo numero: Riccardo non è poi riuscito a passare in Aretè, ma abbiamo
fissato un appuntamento qui in Bolivia.
Non mi ricordo il
giorno che ci siamo visti, mi sembra mercoledì, ma siamo andati quel giorno
stesso a Qualauma, e questo non posso dimenticarlo.
Qalauma è un centro
di riabilitazione e reinserimento di giovani detenuti (tra i 16 e i 21 anni),
il primo, e attualmente l’unico in Bolivia; un progetto assolutamente nuovo e
sperimentale, in un paese dove in minorenni, anche in attesa di giudizio,
vengono trattati alla stregua degli adulti, e rinchiusi assieme a loro. In
questo posto, che rimane comunque un carcere , purtroppo, i ragazzi possono
lavorare in diversi talleres (laboratori): falegnameria, panetteria,
serigrafia, sartoria, ceramica, un piccolo orto e un allevamento di animali da
corte (galline, conigli, porcellinid’india). Inoltre sono seguiti da un gruppo
di psicologi ed educatori. Le difficoltà per mantenere in vita Qalauma sono
innumerevoli, prima fra tutte la costante mancanza di fondi, dato anche la rtrosia
da parte del governo a finanziare il progetto.
Il viaggio stesso
verso il centro ha il sapore di un’odissea, tra la strada dissestada, i cani
(innumerevoli, irrimediabilmente randagi) che pare non aspettino altro che di
buttarsi in mezzo alla strada, i bloqueos (blocchi stradali fatti da
manifestanti) praticamente quotidiani che creano immensi ingorghi e costringono
alla tragicomica ricerca di una via alternativa per passare, il paesaggio
sempre più precario da El Alto (una volta periferia di La Paz, ora città autonoma), a
Viacha, alla pampa in mezzo a cui si trova il centro; una distesa di case
sempre più incompiute man mano che si procede, puntellate dalle mille chiese
bianche costruite dal leggendario padre Hobermeyer , e perennemente vuote, a
quanto dicono.
Forse potrei dare
una mano a trovare soluzioni per commercializzare i prodotti realizzati dai
ragazzi di Qualauma, dice Riccardo. Forse. Di sicuro ci tornerò, qui, almeno
per provarci.
martes, 7 de mayo de 2013
La Paz 7/05
A La Paz, finalmente!
Sono arrivato ieri mattina, intorno alle 7, dopo un viaggio su un pullman che definire freddo credo non sia sufficiente... al mattino ho sentito l'autista che mormorava quacosa in proposito a un finestrino aperto durante la notte, spero sinceramente che il motivo non fosse quello. Ho capito però perchè tutti eramo muniti di coperta, prima di salire sul mezzo. Io ovviamente avevo lasciato il sacco a pelo nello zaino, nel bagagliaio. Mi sono messo addosso tutto quello che avevo a disposizione, compresa una salvietta a mo' di coperta... alla fine sono anche riuscito adormire un poco.
Non vi ho ancora parlato dell'esperienza dei viaggi in autobus, le flotas, che qui sono i mezzi di trasporto principali, e che generalmente viaggiano di notte. In realtà il viaggio in sè, a parte il freddo, non è così male: ci sono a disposizione posti normali, camas (con sedile reclinabile e poggiapiedi a mo' di dentista), e cuccette (un lusso che non mi sono ancora permesso). Certo, non è come in Turchia che ti portano la merendina e il profumo al limone per le mani, ma sono silenziosi, comodi, e addirittura con il bagno più o meno funzionante.
La cosa divertente è arrivarci a prenderlo, il pullman.
La prima volta che sono stato in un terminal, è stato a Santa Cruz, accompagnato da Maribel (a Santa Cruz c'è sempre qualcuno che ti accompagna...), il pomeriggio prima di partire per Cochabamba. La stazione mi sembrava un posto molto tranquillo, poca gente in giro, ogni compagnia con il proprio stand, terminali in cui ti indicavano i posti liberi. Secondo il parere di Maribel però, i prezzi erano troppo alti, si sarebbero abbassati in serata. Per cui non abbiamo acquistato il biglietto e siamo tornati in ufficio.
In serata, dopo una semplice despedida a base di caffè e sonzo (sempre buono, il sonzo), sono tornato al terminal dei bus, stavolta accompagnato addirittura da una delegazione, composta da Maribel, Gina, Georjina e sua figlia di pochi mesi.
Il luogo tutto sommato semplice e tranquillo di qualche ora prima si era nel frattempo trasformato in una specie di caotico mercato in cui i dipendenti delle diverse compagnie, aumentati esponenzialmente, urlavano a gran voce le destinazioni e prezzi dei biglietti, cercando ti attirarci verso il proprio stand, mentre dovevamo farci largo tra una folla di persone, anche loro in cerca di un biglietto, montagne di bagagli, orde di venditori di cibo, bevande, generi di conforto. Alla fine il prezzo del biglietto era identico a quello del pomeriggio...
Confesso che quando il mio comitato di addio se n'è andato, mi sono sentito un po' perso.
Alla fne, come dicevo, il viaggio in sè non è stato male, circondato da cholitas che ridevano di gusto per ogni schianto frontale evitato (a un certo punto abbiano anche speronato un altro autobus reo di non aver ceduto il passo con prontezza), nel buio assoluto della carretera, illuminato solo dai fari e da qualche sparuto villaggio.
Al mattino, il terminal di Cochabamba, si presentava silenzioso e ordinato, ma sapevo ormai che, qualche giorno dopo, al momento di prendere la mia flota per La Paz, non sarebbe stato così.
Ad ogni modo, è bello vedere come in questo caos tutto alla fine funziona, le persone (e i bagagli), arrivano a destinazione: solo, l'impressione è che tutto si potrebbe fare molto più ordinatamente, e silenziosamente. Ma questa è la mia deformazione da europeo un po' troppo ben abituato...
L'immagine più bella del viaggio verso La Paz, è la carovana di fari che nella notte si inerpicava verso l'altopiano, lentamente, per raggiungere i 3600 metri di una delle metropoli più alte del mondo...
A La Paz, finalmente!
Sono arrivato ieri mattina, intorno alle 7, dopo un viaggio su un pullman che definire freddo credo non sia sufficiente... al mattino ho sentito l'autista che mormorava quacosa in proposito a un finestrino aperto durante la notte, spero sinceramente che il motivo non fosse quello. Ho capito però perchè tutti eramo muniti di coperta, prima di salire sul mezzo. Io ovviamente avevo lasciato il sacco a pelo nello zaino, nel bagagliaio. Mi sono messo addosso tutto quello che avevo a disposizione, compresa una salvietta a mo' di coperta... alla fine sono anche riuscito adormire un poco.
Non vi ho ancora parlato dell'esperienza dei viaggi in autobus, le flotas, che qui sono i mezzi di trasporto principali, e che generalmente viaggiano di notte. In realtà il viaggio in sè, a parte il freddo, non è così male: ci sono a disposizione posti normali, camas (con sedile reclinabile e poggiapiedi a mo' di dentista), e cuccette (un lusso che non mi sono ancora permesso). Certo, non è come in Turchia che ti portano la merendina e il profumo al limone per le mani, ma sono silenziosi, comodi, e addirittura con il bagno più o meno funzionante.
La cosa divertente è arrivarci a prenderlo, il pullman.
La prima volta che sono stato in un terminal, è stato a Santa Cruz, accompagnato da Maribel (a Santa Cruz c'è sempre qualcuno che ti accompagna...), il pomeriggio prima di partire per Cochabamba. La stazione mi sembrava un posto molto tranquillo, poca gente in giro, ogni compagnia con il proprio stand, terminali in cui ti indicavano i posti liberi. Secondo il parere di Maribel però, i prezzi erano troppo alti, si sarebbero abbassati in serata. Per cui non abbiamo acquistato il biglietto e siamo tornati in ufficio.
In serata, dopo una semplice despedida a base di caffè e sonzo (sempre buono, il sonzo), sono tornato al terminal dei bus, stavolta accompagnato addirittura da una delegazione, composta da Maribel, Gina, Georjina e sua figlia di pochi mesi.
Il luogo tutto sommato semplice e tranquillo di qualche ora prima si era nel frattempo trasformato in una specie di caotico mercato in cui i dipendenti delle diverse compagnie, aumentati esponenzialmente, urlavano a gran voce le destinazioni e prezzi dei biglietti, cercando ti attirarci verso il proprio stand, mentre dovevamo farci largo tra una folla di persone, anche loro in cerca di un biglietto, montagne di bagagli, orde di venditori di cibo, bevande, generi di conforto. Alla fine il prezzo del biglietto era identico a quello del pomeriggio...
Confesso che quando il mio comitato di addio se n'è andato, mi sono sentito un po' perso.
Alla fne, come dicevo, il viaggio in sè non è stato male, circondato da cholitas che ridevano di gusto per ogni schianto frontale evitato (a un certo punto abbiano anche speronato un altro autobus reo di non aver ceduto il passo con prontezza), nel buio assoluto della carretera, illuminato solo dai fari e da qualche sparuto villaggio.
Al mattino, il terminal di Cochabamba, si presentava silenzioso e ordinato, ma sapevo ormai che, qualche giorno dopo, al momento di prendere la mia flota per La Paz, non sarebbe stato così.
Ad ogni modo, è bello vedere come in questo caos tutto alla fine funziona, le persone (e i bagagli), arrivano a destinazione: solo, l'impressione è che tutto si potrebbe fare molto più ordinatamente, e silenziosamente. Ma questa è la mia deformazione da europeo un po' troppo ben abituato...
L'immagine più bella del viaggio verso La Paz, è la carovana di fari che nella notte si inerpicava verso l'altopiano, lentamente, per raggiungere i 3600 metri di una delle metropoli più alte del mondo...
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