La Paz 13/05
Scusate, sono
rimasto un po’ indietro con gli aggiornamenti, è già una settimana che non
scrivo, e devo un po’ riprendere il filo.
È stata una
settimana strana, questa vissuta a La Paz.
Calma e intensa contemporaneamente.
Prima di tutto
però vi descrivo un po’ come è la città, anche se ancora non posso dire di
averla girata per bene, anche perchè girare a piedi per La Paz, è molto più impegnativo
che girare per qualsiasi altra città che abbia mai visto. I continui
saliscendi, le strade sconnesse (almeno quella che da casa mia va verso il
centro), e l’aria che manca per l’altitudine complicano un po’ l’esplorazione.
C’è anche lil fatto che qui sto lavorando in una oficina, un ufficio vero, per
cui il tempo libero è limitato rispetto a quello che avevo nelle scorse
settimane.
Ad ogni modo,
questa città mi sta affascinando giorno per giorno, riserva una sorpresa ad
ogni angolo. Non mi ricordo dove ho letto che La Paz è una città senza orizzonte, così chiusa,
quasi precipitata in una valle, ma che in compenso agli abitanti si presenta uno
scenario nuovo ad ogni incrocio; ed è vero, il paesaggio qui cambia
continuamente, perchè le vie strette cinte da case non permettono di vedere che
una piccola parte della città, ogni volta differente. E quando tra le facciate
dei palazzi appare imporvvisamente uno scorcio dell’Illimani o di qualche altra
vetta della Cordillera Real, si rimane senza fiato, non solo per l’altitudine.
La Paz, come mi dicevano alcuni ragazzi in un ristorante
vegetariano dal sapore molto hippy, è piena di tesori nascosti. Subito dopo mi
hanno invitato a una serata dal titolo ¨carnivori anonimi¨ in cui la gente racconta
come ha smesso di mangiare carne... non ci sono andato perchè avevo già
un’altra cena, magari settimana prossima.
Proprio oggi,
dopo essere stato all’ufficio della migracion
(un agente non ha ritenuto valida la mia fotocopia del passaporto...)
approfittando del fatto di essere fuori ufficio ho girato per quello che è il
centro storico di La Paz. Un’oasi
di tranquilità isolata dal caos delle strade circostanti dove le auto e gli
autobus appestano l’aria con scarichi da ciminiere, con stradine strette,
acciottolate, case colorate, vecchietti seduti sulle panchine (e negozietti di
artigianato, ovviamente), che si articola attorno a Plaza Murillio.
La pace era
probabilmente in parte dovuta anche al fatto che il centro fosse completamente
recintato dalla polizia, dato che era in corso una maniestazione di insegnanti;
noi ovviamente, in quanto turisti, siamo potuti passare attraverso lo
sbarramento. In realtà qui in Bolivia, ma in particolare a La Paz, le manifestazioni sono
all’ordine del giorno; penso che da quando sono qui non ci sia ancora stato un
giorno senza un corteo. Anzi, poco dopo, tornando verso il mio quartiere, mi
sono imbattuto in un altro corteo, pieno di cholitas
(le donne in abiti tradizionali, con gonne, lunghe trecce nere e bomboetta
in testa). Non so per cosa manifestassero, ma era una bella immagine.
La Paz, 14/05
Come vi scrivevo,
la mi a vita a La Paz,
in questa prima settimana, è stata calma
ma piena allo stesso tempo.
Sono arrivato
lunedì mattina, verso le sette, accolto dal freddo pungente della città che si
stava risvegliando, e nella stazione semideserta c’eravamo quasi solo noi, i
viaggiatori con lo zaino in spalla; tutti i boliviani scesi dalle decine di
flotas appena arrivate si erano già dispersi per le vie tortuose del quartiere
di San Pedro.
Il tempo di bere
un mate de coca, per iniziare ad adeguarmi alle usanze loali, e anche per
evitare di patire subito l’altitudine, che giunge tempestiva la telefonata di
Giovanni, uno dei membri di AOPEB, l’associazione con la quale collaborerò nei
prossimi giorni. Si offre di venirmi a prendere e portarmi direttamente alla
sede dell’associazione, ed io accetto più che volentieri. In realtà nel tempo
passato prima del suo arrivo avrei potuto prendere una decina di taxi, ma fa
piacere appena arrivato fare due chiacchiere con qualcuno, e fa anche piacere
il giro di presentazioni di tutto il personale di AOPEB, che Giovanni mi fa
fare appena scaricato lo zaino: non riuscirò a ricordare nessun nome, come al
solito, sebbene mentalmente cerchi di
memorizzarli uno a uno, ma avrò tempo di impararli nei giorni a venire.
Scopro che Anja,
la ragazza tedesca che mi ospiterà in questi prini giorni, lavora fino alle
sei, sicchè non mi resta che prendere posto alla (micro)scrivania che mi hanno
dato e iniziare a leggere un po’ di materiale sui progetti dell’associazione.
Qui sono tutti impegnatissimi per l’organizzazione della fiera Biobolivia (eh
sì, ammetto di avere copiato...) che si terrà il 17, 18, 19 di maggio, e
nessuno ha molto tempo da dedicarmi.
Sarà un lunedì
molto lungo, tra l’attesa di poter scaricare le mie cose nella nuova stanza, e
il sonno accumulato nel viaggio.
In compenso Anja
è una padrona di casa stupenda (dato che la casa è grande ospita persone,
couchsurfers e pseudovolontari disgraziati come me, senza chiedere niente in
cambio) la stanza è bellissima, come
tutta la casa, e quando mi sistemo, ormai è il tramonto, dalla finestra si vede
l’Illimani tinto di rosa che domina tutta la città. Sufficiente per farmi
innamorare di La Paz.
La Paz, 15/05
I giorni seguenti
sono stati segnati da due eventi in partcolare: il primo è stato l’incontro con
Riccardo Giavarini, cooperante in Bolivia da ormai 37 anni, il secondo con un
gruppo di italiani (tra volontari, cooperanti, viaggiatori) che mi ha fatto
apprezzare anche il lato più festaiolo di La Paz.
Con Riccardo ci
eravamo sentiti, casualmente, il giorno prima della mia partenza: aveva
chiamato in cooperativa (quando scrivo cooperativa intendo in Aretè, dove
lavoro) per conoscere la nostra realtà, dicendo che stava facendo un lavoro di
riabilitazione con un carcere minorile, casualmente a La Paz. Casualmente,
il giorno in cui ha chiamato, ero passato in cooperativa per salutare i
colleghi prima della partenza, e appena saputo di questa chiamata mi sono fatto
dare il suo numero: Riccardo non è poi riuscito a passare in Aretè, ma abbiamo
fissato un appuntamento qui in Bolivia.
Non mi ricordo il
giorno che ci siamo visti, mi sembra mercoledì, ma siamo andati quel giorno
stesso a Qualauma, e questo non posso dimenticarlo.
Qalauma è un centro
di riabilitazione e reinserimento di giovani detenuti (tra i 16 e i 21 anni),
il primo, e attualmente l’unico in Bolivia; un progetto assolutamente nuovo e
sperimentale, in un paese dove in minorenni, anche in attesa di giudizio,
vengono trattati alla stregua degli adulti, e rinchiusi assieme a loro. In
questo posto, che rimane comunque un carcere , purtroppo, i ragazzi possono
lavorare in diversi talleres (laboratori): falegnameria, panetteria,
serigrafia, sartoria, ceramica, un piccolo orto e un allevamento di animali da
corte (galline, conigli, porcellinid’india). Inoltre sono seguiti da un gruppo
di psicologi ed educatori. Le difficoltà per mantenere in vita Qalauma sono
innumerevoli, prima fra tutte la costante mancanza di fondi, dato anche la rtrosia
da parte del governo a finanziare il progetto.
Il viaggio stesso
verso il centro ha il sapore di un’odissea, tra la strada dissestada, i cani
(innumerevoli, irrimediabilmente randagi) che pare non aspettino altro che di
buttarsi in mezzo alla strada, i bloqueos (blocchi stradali fatti da
manifestanti) praticamente quotidiani che creano immensi ingorghi e costringono
alla tragicomica ricerca di una via alternativa per passare, il paesaggio
sempre più precario da El Alto (una volta periferia di La Paz, ora città autonoma), a
Viacha, alla pampa in mezzo a cui si trova il centro; una distesa di case
sempre più incompiute man mano che si procede, puntellate dalle mille chiese
bianche costruite dal leggendario padre Hobermeyer , e perennemente vuote, a
quanto dicono.
Forse potrei dare
una mano a trovare soluzioni per commercializzare i prodotti realizzati dai
ragazzi di Qualauma, dice Riccardo. Forse. Di sicuro ci tornerò, qui, almeno
per provarci.
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